Bologna, 10/03/2014

CONSIGLIO COMUNALE, SEDUTA SOLENNE DEDICATA ALLA GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA. L'INTERVENTO DI MARISA OMBRA DEI GRUPPI DI DIFESA DELLA DONNA


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Di seguito, il discorso di Marisa Ombra,attiva nei Gruppi di Difesa della Donna e nell'Unione Donne in Italia, tenuto in Consiglio comunale nel corso della seduta solenne in occasione della Giornata internazionale della donna.

"Il Comune di Bologna, convocando il Consiglio Comunale in seduta solenne, prima e unica fra le istituzioni italiane, fa qualcosa di più che rendere merito a un’organizzazione di donne che ebbe una parte fondamentale nella Resistenza. Recupera un tassello mancante della storia d’Italia, mette riparo a un'assenza che ha reso sin qui mutilata la storia della nascita della democrazia in Italia. Bologna si colloca così, com’è nella sua tradizione, tra i comuni più attenti alla storia, alle radici, alle origini distintive della nostra democrazia. Onore dunque al Comune di Bologna, al suo sindaco, al suo Consiglio comunale.
L’ordine del giorno di questa seduta reca come titolo: testimonianze. E dunque comincerò da una testimonianza personale, che forse è anche il migliore modo per introdurre, in modo molto concreto, la storia e il significato, il senso di questi gruppi.
Dunque, la storia si svolge ad Agliano, piccolo comune della provincia di Asti, dove si era insediata da poco la Repubblica partigiana dell’Alto Monferrato. Destinata, per altro, a durare poche settimane, fra il 28 ottobre e il 2 dicembre del ’44, quando un gigantesco rastrellamento a tenaglia disperse tutto il movimento partigiano della zona e concluse la breve vita della Repubblica.
Siamo, quindi, in zona partigiana, in quel momento liberata.
In una cucina ampia, sobria e accogliente come erano le cucine delle case contadine, almeno in quella ricca zona di vigneti, ha luogo la mia prima riunione dei Gruppi di difesa della donna della quale conservo una memoria vivissima.
Come ero arrivata a quel momento. Entrata nella Resistenza, Santus, membro del CLN di Asti, mi aveva posto la domanda: preferisci il lavoro militare o il lavoro politico? Non avendo la più pallida idea dell’uno e dell’altro, risposi: tutti e due.
Così, del tutto priva di strumenti culturali, politici, ecc. con il solo bagaglio dell’entusiasmo della passione, che comunicava , come a tutti, una grande sicurezza, mi trovai in mezzo a una ventina di donne, che cominciarono a farmi domande, del tipo: cos'è la democrazia, cosa sono i partiti, come si fa a distinguerli uno dall’altro, come si svolgeranno le votazioni, ecc. (ho citato le domande perché osserverete che, a distanza di 70 anni, alcune di queste sono ancora, o nuovamente, di estrema attualità).
Non oso pensare alle risposte che diedi. Suppongo che raccontai la visione del futuro che fra noi, nella Resistenza, cercavamo di immaginare, mettendo insieme risposte anche molto ingenue.
Ma ho citato queste domande soprattutto perché dicono immediatamente quale è il senso, il significato di quel movimento che arrivò a riunire almeno 70.000 donne le quali a loro volta si dimostrarono capaci di muoverne altre diecine di migliaia.
Quelle donne, come gli uomini del resto, fino al giorno prima erano vissute in un regime nel quale erano state soppresse tutte le libertà, il diritto di voto per prima cosa, ma anche il diritto di associarsi, di scambiare idee, di formulare una critica, una osservazione, meno che mai il dissenso. Ogni idea di poter contare qualcosa era stato cancellato, si nasceva e si moriva irreggimentati. Vietato pensare, vietato soprattutto produrre un pensiero diverso da quello ordinato dal regime. Era obbligatorio credere e obbedire. E combattere, naturalmente.
Molte e molti, fra i presenti ricorderanno facilmente come erano, come vivevano le loro nonne negli anni ’30, ‘40: fra casa, vicinato, chiesa, qualche visita di parenti. Interessi, argomenti di conversazione: i bambini, la salute, qualche scambio di notizie sulla vita del paese.
Dopo l’8 settembre, nel giro di pochi giorni gli occhi delle donne si spalancarono. Presero a interrogarsi su quel che accadeva nel mondo, scoprirono la capacità di pensare in proprio, di comunicare pensieri. Credo che chi inventò e costruì i GDD, abbia fatto qualcosa che superò largamente i propositi iniziali. Quei gruppi furono la rottura della tradizione e una grande scuola di addestramento alla politica. Aprirono la strada alla presa di coscienza da parte delle donne di essere persone e cittadine, cittadine che non dovevano più, non potevano più essere estranee ai problemi sociali, dei quali avrebbero dovuto farsi carico, assumendosi responsabilità che non avrebbero mai immaginato. Una rottura culturale epocale.
Da questi modesti scambi di opinioni nasceranno infatti le lotte che lungo i decenni successivi porteranno le donne a conquistare, almeno formalmente, tutti i diritti, porteranno il Paese a diventare, da arcaico qual era, più moderno e civile, anche se episodi di barbarie ancora si verificano, ma questo è un altro, grande e terribile capitolo, del quale in questa occasione non vorrei parlare.
Vorrei invece brevemente dire quel poco che si sa di questi gruppi: poco perché, tra i tantissimi volumi dedicati alla Resistenza, agli anni tra il ’43 e il ’45, non esiste una pubblicazione che dia conto di questo straordinario fondamentale movimento. Per saperne qualcosa bisogna andare a frugare negli archivi anche personali, trovare quelle due righe accennate in qualche autobiografia. Leggersi un Quaderno prezioso pubblicato dall’Archivio centrale dell’Udi, che riproduce alcune delle relazioni che i Gruppi mandavano al Centro.
Il Centro (e qui mi accingo a dire brevemente le cose che si conoscono ) era a Milano, era ovviamente clandestino, si spostava di appartamento in appartamento, secondo le ferree regole della clandestinità. Secondo, anche i bombardamenti, che andavano distruggendo Milano di casa in casa. All’inizio le promotrici erano in 5. Il gruppo si allargò, comprese donne di tutti i partiti che formavano il CLNAI . Vale a dire, il governo clandestino dell'Italia occupata, che dirigeva la guerra di liberazione. Composto da tutti i partiti, liberale, democristiano, comunista, socialista, d’azione. Non so come ci riuscissero, ma pubblicarono anche un giornalino che si chiamava Noi donne. Ogni provincia , clandestinamente, pubblicava a sua volta un giornalino, che talvolta si richiamava alla stessa testata, tal altra sceglieva un altro titolo. Dava notizie e indicazioni di lotta.
Quali erano i compiti dei GDD: primo compito sostenere in ogni modo la lotta di liberazione. Nello statuto, i GDD si presentano come 'compagne di combattimento', testualmente. Sono i primi giorni di novembre del ’43 e, come dice l’Appello dei GDD, 'i combattenti per la libertà si organizzano, conducono la guerriglia. Nella lotta per la libertà si schierano, compagne di combattimento, le donne italiane'. Molte di loro diventano staffette, si impegnano nel collegamento fra le formazioni partigiane, in azioni di disturbo, avvistamento, informazioni, trasportano armi.
Nelle città, soprattutto nelle fabbriche, sono spesso promotrici, e comunque in prima linea, negli scioperi, In moltissimi comuni organizzano manifestazioni per rivendicare distribuzioni di viveri, carbone, zucchero, sale, la fine della guerra soprattutto. Provvedono a vestire i partigiani e spesso a nutrirli. Sono il fronte interno, che sostiene quello armato, quel fronte interno che tanto turba i sonni dell’esercito occupante. Danno sepoltura ai fucilati, agli impiccati, che i tedeschi lasciano per giorni sulle piazze, come monito alla popolazione. E’ la pietà femminile.
Qui in Emilia, nelle campagne emiliane, il movimento è particolarmente vivo. Le con tadine nascondono partigiani, renitenti, prigionieri dell’esercito alleati fuggiti A rischio è la vita, né più né meno.
In quei venti mesi le donne si misurano e fanno molte scoperte su di sé. Ne usciranno trasformate, adulte, decise a non essere mai più seconde. Nel mentre trasportano armi e fanno scioperi, elaborano il loro progetto per il futuro. Che comprende il diritto di voto, la parità di salario, l’ accesso a tutte le carriere, “unico criterio di scelta il merito”, partecipazione alla vita sociale, nei corpi elettivi locali e nazionali. Cominciano da subito, rivendicando la rappresentanza nell’organismo che dirige la guerra di liberazione e l’otterranno.
E’ il programma che le organizzazioni delle donne, finita la guerra, metteranno in campo, punto per punto. Posso testimoniare che l’Udi, l’associazione alla quale sono appartenuta e appartengo, ha rispettato rigorosamente questo impegno. Ma devo anche dire che molte altre associazioni nacquero, grandi e importanti come il CIF ed altre meno importanti e, pur nelle diversità, hanno concorso a riconoscere alla donna piena dignità e pari opportunità.
Ora, cosa può dire, questa lontana storia, a chi oggi ha 16, 18 anni. Penso che dica qualcosa che è vero sempre, in ogni epoca
Questa storia parla di coraggio, di libertà – che presuppone conoscenza, se non conosci, cadi facilmente nell’inganno, credi nelle apparenze. Parla di necessità di pensare con la tua testa, di imparare a valutare e scegliere con consapevolezza .
Parla di assunzione di responsabilità. Se credi di poter essere indifferente a ciò che accade intorno a te, sbagli. Può capitare che cadano bombe sulla tua testa (è successo ieri), o di non riuscire a trovare un lavoro, perdere la casa (succede oggi)- La storia è utile, va studiata. Ci insegna quanto meno a evitare errori, almeno per quanto è possibile".
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