Bologna, 02/08/2015

2 AGOSTO 2015, XXXV ANNIVERSARIO: IL DISCORSO DEL PRESIDENTE DELL'ASSOCIAZIONE FAMILIARI VITTIME DELLA STRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNA, PAOLO BOLOGNESI


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Trasmettiamo l'intervento del Presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna, Paolo Bolognesi tenuto in Piazza Medaglie d'Oro, in occasione della commemorazione del XXXV anniversario della strage alla stazione del 2 agosto 1980.

“Si sono trovati nel posto sbagliato, al momento sbagliato”.
Questa frase è stata detta e pensata da molti e ci è stata ripetuta spesso, riguardo ai nostri cari, ma gli 85 morti e i 200 feriti che il 2 agosto 1980 vennero colpiti da un micidiale ordigno collocato nella sala d'aspetto di questa stazione, non erano affatto nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Non erano nel posto sbagliato al momento sbagliato, Paolo e Viviana, 23 anni, novelli sposi, in attesa del loro primo figlio che erano in stazione per prenotare per tempo il traghetto per la Sardegna Non era nel posto sbagliato al momento sbagliato, John, studente inglese di 22 anni che, dopo un lungo anno di studio, si era regalato un meritato viaggio in Italia con la fidanzata Catherine.
Non era nel posto sbagliato al momento sbagliato, Angela, 3 anni, che con la mamma Maria, 24 anni, aspettava il treno per poter arrivare finalmente in spiaggia e giocare con sabbia e secchiello.
Non era nel posto sbagliato al momento sbagliato, Rita, 23 anni, che con le colleghe Katia, Euridia, Nilla, Franca, e Mirella, lavorava come ogni giorno nell’ufficio amministrativo del ristorante della stazione.
Non era nel posto sbagliato al momento sbagliato, Sergio, 24 anni, che aspettava nella sala d’aspetto, la coincidenza per un treno.
In quell'assolato sabato d'agosto, primo giorno di ferie per tanti, nessuna delle 85 vittime e dei 200 feriti era nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Nel posto sbagliato al momento sbagliato erano invece Francesca Mambro, Giuseppe Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini, terroristi fascisti i cui rapporti con la Loggia P2 appaiono ormai innegabili, che collocarono la bomba in stazione, e che già avevano ucciso, 40 giorni prima, il coraggioso magistrato Mario Amato, che indagando sui gruppi fascisti e sulla loro rete eversiva aveva intuito il micidiale piano criminale in preparazione.

Era il piano criminale che 7 mesi prima aveva portato ad eliminare il presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella che, riprendendo le politiche dell’amico Aldo Moro, si apprestava a riproporre nella politica italiana le nuove posizioni di netta chiusura alla mafia e di apertura verso i partiti di sinistra. In quegli anni dunque le forze eversive scatenarono un vero e proprio assalto alla democrazia. Lo ha recentemente ammesso lo stesso capo della P2, Licio Gelli, il quale ha specificato di avere potuto contare sul supporto di Gladio e di altre strutture clandestine, alimentate dalle formazioni neofasciste con la protezione degli apparati dello Stato.
Nel posto sbagliato al momento sbagliato erano il generale Musumeci e il colonnello Belmonte, alti funzionari dei Servizi Segreti che di concerto con Licio Gelli e Francesco Pazienza, invece di compiere il loro dovere, hanno depistato le indagini, per cercare di sviarle dai terroristi fascisti.

Oggi, a distanza di 35 anni, occorre riconoscere che i nostri sospetti, maturati all’indomani della strage, si sono rivelati più che fondati e lo confermano anche elementi scaturiti da indagini giudiziarie all’epoca non direttamente collegate a fatti di terrorismo e di eversione.

Un puzzle della Verità da consegnare alla Storia che abbiamo continuato a mettere insieme, pazientemente, pezzo per pezzo, recuperando verità che sarebbero altrimenti rimaste sepolte. La valutazione della documentazione e dei fatti è al vaglio della Magistratura. Il materiale è numeroso e complesso, ma finalmente in grado di mettere insieme un mosaico fino ad ora disperso.

Uno di questi, ad esempio, è il documento sequestrato a Licio Gelli al momento del suo arresto in Svizzera, scritto di suo pugno, con l’intestazione “Bologna” seguita da un numero di conto corrente di una banca svizzera.

Il documento riporta un finanziamento di oltre 15 milioni di dollari fatto da Gelli in favore di più persone subito prima e subito dopo la strage: la stessa cifra che il banchiere Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, durante una conversazione con Flavio Carboni, registrata dallo stesso Calvi. prima di essere ucciso, dichiara provenire dai Servizi Segreti.

Questo appunto era stato acquisito dai magistrati milanesi che conducevano l’inchiesta sul fallimento del Banco Ambrosiano, ma non fu mai trasmesso ai colleghi di Bologna che indagavano sulla strage.

E’ un dato importante, emerso recentemente dagli atti del processo per la strage di Brescia, che ci permette di avere traccia e di ricostruire il flusso e i beneficiari di quelle somme versate da Gelli e verosimilmente riconducibili alla strage.

Altro elemento inedito è l’acquisizione della prova che nel 1984 Gelli è ospitato ad Assuncion in Paraguay dal leader ordinovista Elio Massagrande e che – tramite lui – gli ordinovisti Paolo Marchetti e la moglie Rita Stimamiglio manifestano il proposito di incontrarlo. I due sono gli stessi, proprio gli stessi, che ospitano a Padova, nei mesi successivi alla strage, Fioravanti e Mambro.
Sono tasselli importanti di verità, fino ad oggi mancanti, che in questi 35 anni non abbiamo mai smesso di cercare, analizzare, ricostruire con un lavoro paziente di incrocio di dati contenuti nelle migliaia e migliaia di atti giudiziari di processi per eversione, mafia, reati finanziari e che oggi, ci permette di avere una lettura globale di ciò che avvenne, di identificare i nomi e i ruoli dei molti rimasti ancora fantasmi della Storia e di vicende allora definite misteriose o incomprensibili.

Una lettura globale dei fatti che ci ha permesso di superare quel limite che, nei decenni, ha caratterizzato le indagini giudiziarie concentrate solo sulla ricerca degli esecutori, ma non dei depistatori, dei mandanti della strategia eversiva delle stragi, dando così alla giustizia una parziale verità.
Dopo 41 anni grazie alla tenacia dell’associazione dei caduti di Piazza della Loggia, dei loro avvocati e grazie alla meticolosità dei giudici, si è arrivati alla condanna all’ergastolo per l’esecuzione della strage di Brescia del responsabile di Ordine Nuovo nel Veneto, Carlo Maria Maggi e del suo adepto Tramonte, collaboratore dei Servizi Segreti. Una sentenza estremamente importante, che fa ampia luce sul disegno criminale eversivo che ha insanguinato il nostro Paese.
Solo in anni recenti molte sentenze hanno riconosciuto l’esistenza e l’operatività pluridecennale di un progetto politico di destabilizzazione del Paese che ha utilizzato le stragi come strumento di controllo del consenso politico e per il quale si attivò un’organizzazione clandestina strutturata a vari livelli, composta anche da apparati militari che hanno agito all’interno del sistema occultando e depistando impunemente le indagini senza pagare in termini di carriere e condanne giudiziarie.

Una pagina vergognosa della nostra Storia che non potrà ripetersi con l’approvazione della legge – presentata dalle nostre Associazioni - che introduce il reato penale di depistaggio.

Dopo l’iniziale, apparente consenso parlamentare con il voto favorevole della Camera, la legge è rimasta, però, chiusa in un cassetto del Senato nonostante i nostri inascoltati appelli perché venga discussa e approvata.
Ci chiediamo cosa è accaduto. Perché dopo il voto del Parlamento l’iter di questa proposta di legge è stato bloccato. Quali carte hanno messo sul tavolo gli apparati, a tutela della loro immunità, perché non venga approvata definitivamente?
Dopo 35 anni, attendiamo un segnale concreto di cambiamento, un’ innovazione culturale e democratica di classe politica ed apparati, un risarcimento morale di dignità e giustizia, - seppur postumo e tardivo - alle vittime di stragi e ai loro familiari con una scelta politica che definisca concretamente regole chiare a garanzia del futuro, che confermi la volontà di introdurre il reato di depistaggio per privare i “persecutori della verità” di un’impunità che ha offeso, fino ad oggi, la Giustizia di questo Paese.

Un cambiamento a metà, non è un cambiamento, ma un modo per continuare – da parte di chi ne ha interesse - a conservare il vecchio sistema con metodi diversi.

L’indifferenza verso la nostra Storia, verso ciò che è avvenuto, nei confronti dei familiari delle vittime, dei feriti, di una città come Bologna e di una società civile che ha sempre saputo scegliere con determinazione e coraggio da che parte stare, dalla parte della Verità, significa perpetuare la stessa strategia politica con altro nome.

Ma noi lo sappiamo. Ieri come oggi. Sappiamo che nessuno deve e può essere immune dal passato, perché spesso la storia si ripete, anche se cambia volto, divisa o nome.

Sappiamo anche che gli apparati, i loro eredi, complici e amici continuano ad operare, con metodi e strumenti sostanzialmente invariati, per impedire a questo Paese un vero e reale cambiamento che deve iniziare dalla Verità sulla nostra Storia.
Nel posto sbagliato al momento sbagliato, si sono collocati anche coloro che hanno tentato di riesumare la fantomatica “pista palestinese”: infatti, quella, che risultò già subito dopo la strage uno sviamento delle indagini, è stata confermata come tale anche nel presente e a buon diritto archiviata come una clamorosa bufala, messa tra i piedi della Procura di Bologna, da chi non ha mai voluto la verità sulla strage del 2 agosto 1980 e ancora si adopera, nel tentativo di coprire le responsabilità di esecutori e mandanti.
Nel manifesto di quest’anno abbiamo scritto:

35 anni senza mandanti
un Paese evoluto deve trovare il tempo per ricostruire la sua Storia
uno Stato di diritto deve trovare il tempo per dare giustizia alle vittime della violenza
una democrazia moderna deve trovare il tempo per contrastare il terrorismo e le mafie
non c’é democrazia senza responsabilità

Questo è alla base della convivenza democratica su cui si basa la nostra Costituzione.
Infatti dopo tanto tempo ancora non si è fatto quel passo determinante che permetta di imboccare la strada che superando gli ostacoli veri o presunti porti a colpire i mandanti e gli ispiratori politici della strage.
Il voluminoso dossier sui mandanti, frutto di anni di lavoro, che abbiamo consegnato agli inquirenti è l’occasione per fare compiutamente e definitivamente giustizia.
Ora la Procura di Bologna può finalmente affrontare, in maniera precisa, la pista che porta ai mandanti.

Del resto, che nuovi spunti investigativi, possano venire anche dai risultati di recenti indagini, è confermato dalla cronaca di questi ultimi mesi: alla fine dello scorso anno, una maxi inchiesta condotta dalla Procura di Roma, ha svelato la cosiddetta “Mafia Capitale”, una cupola nera, nata da ex componenti della Banda della Magliana, che avrebbe gestito gli affari a Roma per anni, pilotando appalti, in accordo con i clan del litorale, con boss vicini alla camorra, politici e burocrati.

Tra i nomi dei 37 arrestati, e dei 100 indagati, è amaro constatare come tanti sono nomi già noti, già pronunciati e già denunciati da questo palco da tempo.
Tanti sono i nomi di pregiudicati, ex appartenenti ai NAR, l'organizzazione terroristica capeggiata dagli esecutori materiali della strage di Bologna, Fioravanti e Mambro, responsabili tra l'altro, di altri 33 omicidi tra il 1977 ed il 1981.
Tra i nomi degli indagati, spicca quello di Gianni Alemanno: è negli anni in cui a Roma governava la sua giunta che il sodalizio criminale scoperto dall'inchiesta, diventa forte e potente.
Nei guai, torna anche Gennaro Mokbel, amico intimo di Mambro e Fioravanti, già condannato in 1° grado a 15 anni per il maxi riciclaggio Telecom Sparkle-Fastweb. Ma è Massimo Carminati, colui che gli inquirenti pongono a capo di questo inquietante network criminale-politico. Quel Massimo Carminati legato a Fioravanti fin dai banchi di scuola e coinvolto nelle indagini sui più loschi e sanguinosi fatti della storia d'Italia, dall'omicidio del giornalista Mino Pecorelli, al depistaggio per la strage di Bologna. Carminati, del quale da anni denunciamo lo spessore e le capacità criminali, in una intercettazione telefonica, arriva a svelare il “manifesto programmatico” della sua attività criminosa: “Tutto si mischia nel mezzo” dice “perché la persona che sta nel sovramondo - politico o imprenditore - ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non può fare nessuno”.
Difficile, per noi, che questa frase non evochi un pensiero diretto agli esecutori materiali ed ai mandanti della strage del 2 agosto 1980, ai loro legami reciproci ed alle loro inconfessabili protezioni, ai tentativi di depistaggi pilotati ad arte dai Servizi Segreti e dalla P2.
Come la Loggia Massonica P2, la “terra di mezzo” non ha confini netti, è un mondo dove contano i soldi, non i colori o le ideologie: lo dimostra anche il coinvolgimento nel malaffare di esponenti politici della sinistra capitolina.
La “terra di mezzo” non è la destra, non è Roma: è l'Italia.
E' quel groviglio di interessi tra potere e politica, criminalità e affari che troppe volte ha caratterizzato la storia del nostro Paese.
Non è un caso che l'inchiesta stessa, abbia accertato come Massimo Carminati sia stato avvertito di essere sotto indagine da due poliziotti, da due uomini dello Stato che, invece di stare dalla parte della legalità, hanno invitato Carminati a cautelarsi.
Ecco un altro triste esempio di persone collocate, nel posto sbagliato al momento sbagliato, un'altra concreta prova di come certi utili delinquenti, abbiano goduto e continuino a godere di appoggi e coperture anche all'interno dello Stato.
Gli investigatori non credono più alle coincidenze di tanti delitti, di tante acrobazie finanziarie, nelle quali compaiono gli stessi nomi e gli stessi protagonisti, tra i quali spiccano veterani degli anni di piombo abituati a trattare con le istituzioni a Palazzo così come con organizzazioni criminali del calibro di mafia, 'ndrangheta e camorra.

La storia si ripete. Non si tratta di collusioni nuove, sono le stesse che sopravvivono.
E ci sono ancora molti documenti da analizzare, anche dei vecchi processi di strage, di mafia, di deviazioni dei poteri dello Stato e di scandali finanziari che ci porteranno ad altre inedite correlazioni, a nuovi elementi.

Perché queste diverse componenti interagiscono da tempo, in un intreccio a lungo ignorato purtroppo da molte Procure. Occorre afferrare il capo di questo filo nero che - per quel che già è emerso - riconduce ad una struttura costituita nel 1965 all’interno dei Servizi Segreti dal gen. Giuseppe Aloia, dal col. Allavena, dal col. Rocca. E’ un Paese ancora ostaggio dei propri ricatti. Di quegli apparati, dei loro eredi, complici e amici che continuano ad operare per tutelare la propria impunità.

Ci auguriamo che questa volta, l'inchiesta romana non segua il deludente percorso che troppe volte hanno fatto analoghi scandali italiani, come, ad esempio, è avvenuto per i componenti della Banda della Magliana e per i terroristi fascisti Mambro, Fioravanti e Ciavardini. In entrambi questi casi, infatti, dopo l’iniziale tempesta giudiziaria è seguita, nella fase processuale e soprattutto nell’esecuzione della pena, una sostanziale – e, apparentemente incomprensibile - indulgenza. Il caso di Mambro e Fioravanti è emblematico, da manuale dell’impunità: 7 ergastoli a testa, centinaia di anni di carcere per reati gravissimi e sono completamente liberi da anni, avendo scontato solo 2 mesi di carcere per ogni morte causata. In un Paese normale due stragisti non avrebbero già scontato la loro pena.

Di questa vergogna, più volte denunciata dalla nostra Associazione, abbiamo chiesto conto al Governo presentando un'interrogazione al Ministro della Giustizia. Dopo ben due anni è arrivata una risposta burocratica, evasiva e contraddittoria che non ci ha assolutamente soddisfatto. E continueremo a chiedere spiegazioni sul perché, andando contro ai requisiti di legge, siano stati concessi questi “strani” benefici agli esecutori della strage di Bologna. Vogliamo sapere perché sono state sistematicamente ignorate le intercettazioni telefoniche dalle quali emerge chiaramente il connubio, ancora attuale, tra Fioravanti ed altri personaggi della Banda della Magliana. Vogliamo capire perché per il Ministero e per alcuni giudici di sorveglianza non ha nessuna rilevanza penale sapere che dalla cassa comune della banda escono i fondi per far uscire dal carcere Mambro e Fioravanti.

L’impunità è una moneta preziosa. E noi vogliamo capire chi, e perché, continua a pagare il prezzo del loro silenzio ed il loro sostegno.

“E’ un già visto”, per noi, quando assistiamo al sostegno mediatico garantito ai terroristi dato da persone assolutamente non informate - volutamente o meno – incapaci, quindi, di contrastare la loro menzogna con validi argomenti e proprio per questo utili a chi ancora ha interesse continuare a seminare l’ignoranza sulle stragi, tentando di spacciare spietati killer – che hanno seminato morti e croci - come bravi ragazzi dal passato un po’ ribelle.
Su questa falsariga qualcuno continua ad alimentare ridicoli, patetici e offensivi depistaggi mediatici come quello andato in onda qualche mese fa su una nota emittente romana, in cui è stata dedicata una intera trasmissione a Valerio Fioravanti, presentato come un intellettuale.
In questa ennesima intervista, senza il minimo contraddittorio, Fioravanti ha continuato a propinare le sue menzogne e cercato di spacciare le azioni terroristiche di cui si è reso protagonista, come un mezzo di reazione per ribellarsi ad un potere superiore.

La verità è proprio l'opposto di quanto affermano: Mambro, Fioravanti e i NAR, di cui erano i capi, stavano esattamente al servizio di quel potere superiore che - tra l’altro – aveva garantito loro la copertura dei Servizi Segreti, come testimoniano le sentenze.

Anche alla menzogna occorrerebbe porre un limite di dignità.
Ancora una volta confidiamo nell'impegno necessario pari all'importanza e alla complessità del compito affidato, anche tenendo presente l'insegnamento di Giovanni Falcone: “segui i soldi per trovare la verità”. Chiediamo che la Magistratura non sia lasciata sola. I ministeri competenti devono assicurare organizzazione di uomini e mezzi. Insistiamo su questo punto.

E i soldi sembrano l'unico argomento a cui personaggi come Mambro e Fioravanti si mostrano sensibili: nel novembre scorso, gli esecutori della strage di Bologna, sono stati condannati al pagamento di oltre due miliardi di euro quale risarcimento danni per la bomba alla stazione. Naturalmente l’apparato dei fiancheggiatori e sostenitori dei due stragisti si è attivato.

Tra questi, si è distinta Laura Arconti, membro della Direzione dei Radicali Italiani, che ha pubblicato un livoroso articolo nel quale, dopo aver rispolverato e sponsorizzato la pista teutonico-palestinese - già sostenuta da Licio Gelli e Cossiga - si è scagliata duramente contro la giudice che aveva osato condannare i due assassini al doveroso risarcimento del danno.
La Arconti ha definito la giudice Francesca Neri: “una modesta signora giudice che aveva voglia di uscire dall'anonimato”.

Noi vogliamo qui esprimere gratitudine e solidarietà al magistrato, che ha semplicemente fatto quello che prima di lei hanno fatto Vittorio Occorsio, Emilio Alessandrini, Mario Amato, Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e che ogni giorno compiono magistrati come Nino Di Matteo e Nicola Gratteri: ha fatto cioè il suo dovere e lo ha fatto con coraggio, onorando la toga che indossa, incurante delle protezioni che può vantare chi è sottoposto al suo giudizio, affinché quella scritta che appare nei tribunali “la legge è uguale per tutti” non apparisse come una risibile barzelletta.

E' vergognoso che in Italia, fare ciò che è giusto, esponga un magistrato, alla pubblica diffamazione di un oltraggioso articolo come quello firmato dalla Arconti, che non soddisfatta, ha poi scagliato i suoi velenosi strali contro la nostra Associazione e contro il suo presidente, definendo “persecuzione” la nostra pretesa di giustizia e verità.

Cari amici, il ricordo collettivo è il fondamento della democrazia e il nemico dei carnefici. Conoscere e ricordare la propria storia – e lo dico soprattutto ai giovani presenti - ci permette di essere cittadini consapevoli, che scelgono di credere, affermare e difendere quei valori di libertà e democrazia che sono l’architrave della nostra convivenza civile.
Per questo, come Associazione, ci siamo impegnati a promuovere la conoscenza e la memoria in tutte le occasioni possibili.
Cito, in particolare, il protocollo d’intesa che il Ministro della Giustizia Andrea Orlando e quello dei Beni Culturali Dario Franceschini hanno firmato per la digitalizzazione degli atti di processi di interesse storico, a cura della “Rete degli archivi per non dimenticare”, a cui la nostra associazione partecipa.
Questo è un evento importante che apre alla possibilità che tutti gli atti di interesse storico giudiziario non vadano persi e possano essere raccolti e valorizzati così da permettere a tutti di conoscere e ricostruire in modo corretto la storia criminale e politica del nostro Paese. È importante però che questo lavoro sia sostenuto e che anche il portale della “Rete degli archivi per non dimenticare”, fortemente voluto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, non sia abbandonato a se stesso.
Inoltre, grazie all’Assemblea Legislativa della Regione Emilia-Romagna, ogni anno vengono organizzati laboratori con studenti di ogni età che ci dimostrano come i giovani siano attenti e interessati ad approfondire i temi del terrorismo e delle stragi: pronti a diventare, attraverso la conoscenza della storia, il futuro del Paese.

Sono iniziative importanti perché ci permettono di tutelare la Memoria e renderla bene comune, impedendo che tutti gli atti di interesse storico-giudiziario vadano persi, dando la possibilità ad ogni cittadino di conoscerli per poter ricostruire in modo corretto la storia del nostro Paese. L’anno scorso abbiamo apprezzato pubblicamente la direttiva della Presidenza del Consiglio con la quale si sono declassificati i documenti relativi alle stragi, dal 1969 al 1984, ma abbiamo, da subito avanzato alcune perplessità sulla reale volontà delle amministrazioni interessate ad attuarla integralmente. Purtroppo oggi dobbiamo constatare che avevamo ragione.

Il deposito parziale dei documenti, i ritardi, la discrezionale preselezione degli atti da versare da parte di Ministeri e Servizi, senza un controllo esterno, ci fa dire che l’obiettivo della direttiva - cioè la totale trasparenza su quei fatti - non solo non è garantita ,ma rischia di essere una chimera. Criticità che abbiamo più volte segnalato alla Presidenza del Consiglio perché le risolvesse e non si svuotasse di significato un atto politico di trasparenza attraverso quella che abbiamo definito la strategia del faldone vuoto.

Attendiamo ancora una risposta.

Come risposte – a distanza di undici anni dalla sua approvazione – le attendiamo sulla completa attuazione della legge sui risarcimenti alle vittime di stragi (la 206 del 2004), nonostante gli impegni presi nel 2013 e nel 2014 dai ministri Graziano Delrio e Giuliano Poletti. Promesse ripetute nel tempo, ma rimaste tali, mentre i familiari di vittime e invalidi di stragi attendono ancora i benefici previsti dalla normativa, tanto da essere costretti ad intraprendere estenuanti e costosi ricorsi giudiziari-amministrativi contro Inps e Ministero dell’Interno per poter ottenere, o sperare di ottenere, ciò che il Parlamento ha reputato giusto concedere a fronte di un danno fisico e biologico devastante.

Nonostante alcune norme approvate nell’ultima legge di stabilità, i vertici Inps hanno opposto criteri e cavilli interpretativi per ostacolare la puntuale applicazione della legge. Un comportamento sconcertante, fino ad oggi permesso in deroga alla democrazia,

E mentre il Governo ancora tace, questo è ciò che sono costrette a subìre le vittime e i familiari delle vittime di stragi in questo Paese, ma noi non ci arrendiamo, come non ci siamo mai arresi. Abbiamo chiesto a tutti i cittadini di aiutarci, firmando una apposita petizione, per far sì che ogni promessa venga mantenuta e che nessun Governo possa offendere la memoria del 2 agosto e tutto ciò che quella ferita ha significato per la nostra nazione.

La nostra Associazione è nata 34 anni fa per perseguire giustizia e verità.

E’ stata, ed è, sempre una battaglia difficile quella per la verità e per la giustizia. Ma riteniamo che questo obiettivo sia il solo modo, per noi, per onorare i nostri cari. Abbiamo attraversato molti momenti bui, fatti di depistaggi giudiziari e mediatici, di informazioni taciute da chi aveva il dovere di denunciarle ed abbiamo dovuto sopportare gli atteggiamenti sprezzanti degli esecutori della strage, le menzogne interessate dei loro protettori, i troppi silenzi delle istituzioni.

Ma nel nostro cammino, abbiamo incontrato anche persone mosse dai nostri stessi ideali, determinate ad opporsi ad una cultura fondata sul privilegio, sulla sopraffazione e sulla furbizia, per costruire invece insieme una società più giusta e solidale.

Tra questi, vogliamo ricordare i partecipanti alla XX Giornata della Memoria di Libera il 21 marzo scorso, proprio nella nostra città. Duecentomila voci si sono unite a quella di Don Luigi Ciotti, per dire no alla mafia e al terrorismo, in un lungo corteo per la legalità e in ricordo di chi ha perso la vita per mano della criminalità organizzata.

In questi 35 anni, spesso quello Stato, che avrebbe dovuto proteggerci, ha ostacolato la nostra azione.

Ma al nostro fianco abbiamo avuto anche la parte sana delle istituzioni il cui sostegno non è mai mancato, di inquirenti capaci e magistrati onesti, coraggiosi che ci hanno aiutato ad arrivare a fondamentali elementi di verità sulla strage che ha colpito noi ed il Paese.

Coloro che più di tutti ci teniamo a ringraziare per l'affetto, il sostegno e la vicinanza che ci hanno dimostrato in questi lunghi anni, sono la città di Bologna, i suoi cittadini, la società civile, tutti voi che ci avete aiutato a portare il peso del nostro lutto, a dare un senso a questa sofferenza e sostenuto nella nostra battaglia civile per la Verità e la Giustizia che non è, e mai dovrebbe essere, una concessione, bensì un diritto di ogni cittadino.La vostra vicinanza, morale e materiale, non ha potuto restituirci i nostri cari, ma ha potuto illuminare un po' il nostro cammino, aiutarci a vedere la strada da seguire, spazzare via le nubi di rabbia e frustrazione che potevano offuscare la nostra vera natura e i nostri obiettivi, per provare a costruire una società migliore in cui vivere, per tutti.

E’ nel vostro appoggio prezioso che abbiamo visto prendere corpo e concretezza le parole di Giacomo Ulivi, uno dei condannati a morte della Resistenza, che così scriveva ai suoi cari: “Tutti noi dobbiamo rifare, ma soprattutto dobbiamo rifare noi stessi. L'inganno peggiore di una “diseducazione ventennale” è stato quello di convincerci della “sporcizia” della politica e di intaccare così la posizione morale, la mentalità di molti di noi.
Credetemi: la cosa pubblica è noi stessi, la nostra famiglia, il nostro lavoro, il nostro mondo, ogni sua sciagura è sciagura nostra”.
Il nostro ringraziamento più grande va a tutti voi, che anche oggi siete qui in questa piazza, il 2 agosto. Al nostro fianco: nel posto giusto, al momento giusto!
Grazie!".
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