Bologna, 20/06/2014
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Si trasmette l'intervento del Ministro per gli Affari esteri, Federica Mogherini, in occasione della Sessione europea del Consiglio comunale. "Vi ringrazio veramente in modo non formale anche per l'invito precedente, che è stato ricordato qui, che non era assolutamente inteso, a quello che capisco, come un appuntamento pre-elezioni europee, ma semplicemente per la celebrazione della "Giornata per l'Europa". Io sarei stata felicissima di essere con voi in quell'occasione, ma sono altrettanto felice di essere con voi oggi. Vi ringrazio moltissimo per questo invito perché, da una parte ho un'occasione estremamente utile di ascolto - per me prima ancora che per voi, credo - e poi perché mi dà una certa emozione essere qui. Ho conosciuto uno dei grandi bolognesi europei, uno dei grandi sindaci ed anche vicepresidente del Parlamento europeo: Imbeni. E l'ho conosciuto non a Bologna ma a Bruxelles in quanto vicepresidente del Parlamento europeo e quindi per me è anche un'emozione oltre che un onore ed un piacere essere in questo stesso luogo oggi. Vi ringrazio perché credo che sia un'opportunità eccezionale per ragionare di come pensiamo anche all'Europa, poi verrò a quello che facciamo in Europa, ma l'idea che l'Unione europea, il nostro essere europei, non riguardi soltanto un altrove, ma riguarda anche da vicino le città, i consigli comunali, i sindaci, le comunità che amministriamo, che governiamo o che semplicemente abitiamo, nelle quali partecipiamo alla vita sociale e pubblica. Credo sia il modo migliore per capire che l'Europa, come diceva bene il sindaco, è il nostro "spazio", è il nostro spazio naturale, è il luogo dove la nostra vita, che sia quelle delle imprese, che si internazionalizzano o vogliono internazionalizzarsi, che sia quello delle decisioni politico amministrative, è il livello in cui di più si esprime il nostro essere cittadini, o meglio il luogo in cui di più dovrebbe esprimersi il nostro essere cittadini, il nostro essere amministratori o rappresentanti delle istituzioni, e quindi ricreare questo filo, questo collegamento tra le città e la dimensione europea credo che sia un servizio che facciamo innanzitutto a noi stessi e alle nostre città, alle nostre comunità, ma anche un servizio che facciamo alle istituzioni europee che troppo hanno perso in questi anni il filo di collegamento con i territori che costituiscono l'Europa. Una delle cose su cui insisto di più è cercare di cancellare questa distanza anche nel nostro riferirci all'Europa, questo "qui" e "lì", questo "noi" e "loro", come se Bruxelles fosse altro da noi. A Bruxelles le decisioni vengono prese nel Parlamento europeo, nei consigli dei Ministri, a volte dalla Commissione, ma io dico sempre: le decisioni le prendono i tecnici quando i politici non esercitano le loro responsabilità e quindi è una responsabilità innanzitutto di chi governa, di chi amministra, di chi siede nei parlamenti, nei consigli comunali, esercitare queste prerogative. Ma questa distanza, quest'idea che c'è un altrove che ci impone che ci chiede delle cose credo che sia una delle cose che dobbiamo cambiare, siamo noi che insieme ad altri abitano questo spazio naturale europeo, li' insieme prendiamo delle decisioni che poi sono molto rilevanti come voi tutti avete ricordato oggi, secondo diversi settori estremamente rilevanti per i nostri cittadini, per le nostre comunità. L'impegno che l'Italia sta già mettendo e continuerà a mettere, anzi, metterà ancora di più a partire poi dalla prossima settimana, dal consiglio europeo della prossima settimana e dal primo luglio (prendendo il semestre di presidenza), sarà su diversi livelli, da una parte un cambio di atteggiamento mentale, molti di voi hanno richiamato il bisogno di cambiare, credo che sia la parola, insieme a "equo", più citata negli interventi. Credo che le elezioni europee, che hanno dato in Italia un risultato diverso da quello che hanno dato nel resto d'Europa, e credo che su questo ci sia una riflessione da fare - anche se non è questa la sede - su quella che è l'offerta politica che viene data ai cittadini europei che evidentemente quando trovano, io non dico un elemento di fiducia, ma almeno un elemento di speranza per poter avere fiducia nelle istituzioni che propongono cambiamento la colgono, forse per disperazione - devo dire la verità - suona come l'ultima chiamata, l'ultima possibilità di cambiare effettivamente alcune cose ma le elezioni europee ci hanno dato un risultato che come Italia possiamo spenderci. Siamo l'unico Paese il cui governo esce profondamente rafforzato, una dinamica simile c'è stata solo in Paesi che per dimensione e peso politico non si possono comparare all'Italia, non faccio nomi per non offendere nessuno dei miei colleghi ma d'altra parte ne sono pienamente consapevoli, un processo simile c'è stato in Germania pur con una dinamica elettorale molto diversa perché il principale partito della coalizione in realtà ha perso dei voti compensato da una crescita di voti dell'altro partito della coalizione, quindi noi abbiamo e io sento nella mia interlocuzione con i miei colleghi, abbiamo una responsabilità ed un'occasione enorme, direi storica, per la prima volta, non posso andare troppo indietro con la memoria, ma per la prima volta dopo diversi decenni dall'Italia si aspettano tutti un cambiamento, che non è soltanto un cambiamento delle nostre dinamiche, non è soltanto una riforma del nostro sistema, ma adesso c'è l'aspettativa che siamo noi ad innescare un cambiamento in Europa, e noi sentiamo questa responsabilità, che è una grandissima occasione ma soprattutto è una grandissima responsabilità. Allora proviamo a farlo innanzitutto con un cambio di atteggiamento, con un cambio di mentalità. Fin qui l'Europa ha vissuto delle difficoltà oggettive, dopo una stagione invece gloriosa, quella dell'integrazione, quella della speranza, quella della costruzione della pace, che noi diamo per scontata ma per la generazioni precedenti alla mia non lo è poi così tanto, e anche per la mia perché le guerre nei Balcani, pur non essendo nei confini dell'Unione europea, sono state guerre europee, ma abbiamo avuto un deficit oggettivo di comprensione dell'essere europei tutti insieme. Il nostro principale sforzo lo stiamo esercitando in queste ore, in questi giorni, è provare a dire: siamo un naturale spazio politico comune, siamo cittadini europei, proviamo a superare la logica nazionale, l'Italia contro la Germania, la Germania contro la Grecia, i Paesi del sud contro i Paesi del nord, i Paesi grandi contro i Paesi piccoli, e viceversa. E' chiaro che ciascuno di noi ha le sue specificità, ma il dato che emerge dalle elezioni europee è anche quello che tutti i cittadini europei hanno chiesto a tutti i governi europei e alle istituzioni di Bruxelles un cambiamento. Non è una specificità o un interesse soltanto italiano o soltanto spagnolo, o portoghese, o greco, è un interesse di tutti i cittadini europei ed è un interesse di tutti i Governi europei e credo anche di tutto il Parlamento europeo, di tutte le forze che siederanno al parlamento europeo. Cambiare su alcuni punti fondamentali. Il primo sono le politiche economiche, ed è quello che noi stiamo mettendo al centro di queste prime conversazioni sugli assetti anche delle istituzioni europee. La nostra principale preoccupazione oggi è che questi sei mesi di presidenza italiana non siano dei mesi di transizione in cui discutiamo per mesi su chi fa cosa, ma che ci sia un ragionamento responsabile e condiviso sulla priorità per cambiare la politica economica europea. Non si tratta, lo ha detto qualcuno, di cambiare trattati, credo che in questo momento non sia realistico forse questo obiettivo, ma anche soltanto utilizzare a trattati vigenti, gli spazi per sostenere investimenti e crescita economica e quindi creazione di posti di lavoro soprattutto per alcune fasce della nostra popolazione. Tradizionalmente diciamo l'occupazione giovanile, in realtà quando vediamo i dati capiamo che non è più una generazione, diverse generazioni iniziano ad essere seriamente colpite nella loro dignità di vita da questo fenomeno, e anche Paesi, penso a quelli scandinavi, che non hanno problemi di disoccupazione in generale, pure hanno un problema di occupazione giovanile. Allora è interesse comune affrontare questo tema e noi stiamo facendo con grande serietà ma anche con grande forza, che è la forza che ci viene dalla credibilità di avere avviato delle riforme al nostro interno e dai risultati che danno un mandato al Governo di cambiamento e di trasformazione delle politiche europee, noi stiamo dicendo: usiamo gli strumenti che intanto già abbiamo. Il ministro Padoan sta facendo un lavoro molto puntuale con i suoi colleghi per identificare già dai prossimi mesi i margini da utilizzare per liberare risorse per gli investimenti. Credo che sia un'emergenza comune e stiamo trovando un'attenzione nuova e stiamo anche concretizzando nel documento che sarà discusso già la prossima settimana, dicendo partiamo dai contenuti e poi lavoriamo sulle responsabilità di chi dovrà realizzarli. Il secondo punto su cui stiamo mettendo tutta la nostra forza a servizio del cambiamento è il tema delle politiche migratorie e delle politiche di asilo. Oggi è una giornata importante, lo avete ricordato in molti, vi ringrazio per averlo fatto. Io sono stata in Libano e in Giordania e ho visitato quattro campi profughi in paesi che accolgono, nel caso del Libano quasi un terzo della propria popolazione in termini di rifugiati. E' come se in Italia aspettassimo 20 milioni di rifugiati. Ed il Libano non è un paese semplice, lo dico per darci la dimensione del fenomeno. Noi guardiamo alla nostra, e adesso ci vengo, ma quando parliamo soprattutto in una giornata come questa, di politiche di asilo, dobbiamo guardare innanzitutto al dramma dal quale scappano queste persone e nel caos della Siria e oggi dell'Iraq, temo, è il dramma della guerra, è dobbiamo guardare ai paesi più vicini alle zone di conflitto che stanno sostenendo nell'ombra e con una dedizione e una fatica enormi un peso veramente complicato, anche perché potrebbe incidere sugli equilibri politici di stabilità e di sicurezza dell'intera regione, rischia di diventare un effetto a catena. Il Ministro degli esteri tunisino mi raccontava l'altro giorno che in una sola notte hanno attraversato la frontiera dalla Libia alla Tunisia 60 mila persone. Lo dico non per sminuire i fenomeni italiani, lo dico per darci il quadro della portata complessiva del fenomeno, che deve dirci una cosa: che noi dobbiamo lavorare in sede Europea per rivedere le politiche migratorie, di asilo e di accoglienza, ma dobbiamo soprattutto lavorare sulle radici del fenomeno. Altrimenti è come svuotare il mare con un cucchiaino, bisogna chiudere il rubinetto e il rubinetto si chiama guerra, in Corno d'Africa, in Siria e in Medio Oriente, si chiama povertà. E allora c'è bisogno di politiche non solo italiane, ma europee, che guardino un po' più lontano, che facciano oggi degli investimenti che aiutino a non avere questi numeri, questi drammatici flussi da qui a dieci o venti anni. Penso a più politiche di cooperazione, a politiche diverse di accesso alle risorse, a partire da quelle fondamentali del cibo e dell'acqua, penso a una politica lungimirante di promozione dei diritti umani, a partire dalle donne e dai bambini. Penso a nuovi modelli di sviluppo, un tema che si affaccia prepotentemente nei prossimi mesi anche a noi. Ospiteremo Expo tra meno di un anno a Milano, e io insisto nel dire che la grande sfida di quell'appuntamento, almeno quella che riguarda più da vicino il mio lavoro, non è tanto la costruzione dei padiglioni, le infrastrutture e i tempi, sarà fare un ragionamento sull'accesso al cibo, sul modo in cui si produce il cibo, sull'accesso all'acqua e alle risorse, su come noi pensiamo di colmare quella grandissima contraddizione che porta un miliardo di persone a morire di fame e altrettante a soffrire di obesità. Questa è una grande contraddizione del nostro tempo, se noi sfrutteremo quell'appuntamento per ragionare di politiche di sviluppo, allora non avremo perso un'occasione. Ma, per non perdere il filo del ragionamento sulle priorità del semestre e della nostra azione a livello europeo, torno alle politiche migratorie. Il punto fondamentale è mettere in campo delle politiche italiane, europee e globali che consentano di prevenire le cause dei flussi in futuro. E' un lavoro di lungo periodo, ma io sono convinta della necessità che chi ha responsabilità di governo a tutti i livelli debba porsi l'obiettivo anche di medio e lungo periodo, altrimenti consegneremo alle prossime generazioni soltanto problemi e non soluzioni. C'è però qualcosa nell'immediato che dobbiamo fare e stiamo facendo. Da una parte dobbiamo lavorare con i paesi di origine e i paesi di transito. Qualcuno citava prima l'esempio spagnolo, in Spagna il fenomeno si è pressoché arrestato perché c'è un accordo di mobilità tra Unione Europea e Marocco. Noi dobbiamo fare lo stesso tipo di esercizio con il Governo libico, il problema è avere un Governo libico. Non mi dilungherò su questo, perché potremmo arrivare a mezzogiorno e mezzo di domani, ma ci saranno elezioni in Libia la prossima settimana, il 25, ci auguriamo che queste diano una qualche solidità a delle istituzioni con le quali dialogare, per lavorare su accordi che, partendo dal principio del rispetto totale dei diritti umani, consentano di gestire razionalmente i flussi, il controllo delle frontiere, noi ci concentriamo sulle frontiere marittime della Libia, perché sono anche le nostre frontiere, il Mare Mediterraneo, ma il vero problema della Libia sono le frontiere di terra. quindi capire anche in Europa come rafforzare la missione già esistente, ma insufficiente, dell'Unione Europea per il controllo e la sicurezza delle frontiere terrestri della Libia. Poi, c'è da fare un ragionamento con l'Europa: il rafforzamento di Frontex, le risorse non sono sufficienti, l'estensione del mandato di Frontex, perché in questo momento non può fare salvataggio in mare e c'è bisogno di un ampliamento, questa è la nostra posizione, è quello che stiamo dicendo ai nostri colleghi europei, anche se questo è un compito più del Ministro degli Interni che mio, ma è un lavoro di squadra. Quando Frontex riuscirà ad estendere il proprio mandato per fare anche il salvataggio in mare, allora potremo lavorare insieme congiuntamente e Mare nostrum potrà essere recuperata. Il problema è che qualcuno faccia questo lavoro. E' il motivo per cui l'Italia, ha confermato questa scelta del Governo precedente. L'alternativa non è salvare le vite umane da una parte o evitare che partano, l'alternativa è tra salvare vite umane o non salvarle e lasciarle morire. E' una responsabilità che io non solo come esponente istituzionale e politico, ma anche come persona non mi prenderei mai. Quindi, c'è un problema di gestione razionale, un problema di condivisione io non dico del peso, della responsabilità del salvataggio, c'è un problema di condivisione dell'accoglienza, anche se su questo dobbiamo essere consapevoli del fatto che altri paesi europei accolgono un numero complessivo di rifugiati a volte superiore al nostro, ma il punto non è quanti rifugiati accogliamo, il punto è che questa frontiera è una frontiera europea e quindi deve essere gestita dall'Unione Europea. Il terzo punto su cui ci stiamo concentrando e ci concentreremo nel semestre di Presidenza è il rafforzamento della politica estera europea. Rafforzamento può suonare un eufemismo, perché se guardiamo intorno a noi, puntiamo un compasso, che sia a Bologna o a Roma, e tracciamo un cerchio, intorno a noi abbiamo l'area più instabile e più pericolosa dell'intero scenario globale. Dall'Ucraina, al Medio Oriente con lo stallo del processo di pace, alla Siria, all'Iraq, al Libano che miracolosamente resiste alle pressioni alle porte, alla Libia. Anche i processi che stanno funzionando, penso alla Tunisia, con una fragilità comunque che va sostenuta, abbiamo un quadro di instabilità quasi sistematica che credo ci ponga la grande esigenza di lavorare per avere un ruolo dell'Unione Europea innanzitutto nella nostra regione. Il che non significa che non abbiamo e non avremo, sia come Italia, sia come Unione Europea, mi auguro, proiezione in altre aree del mondo che sono altrettanto cruciali e strategiche sia per le relazioni industriali, commerciali culturali che politiche: penso all'Asia e durante il semestre ospiteremo il vertice Unione Europea Asia a Milano il 16 ottobre; penso all'America Latina, proprio ieri ho fatto un incontro all'Istituto Latino Americano con gli Ambasciatori di tutta l'area; riavvieremo anche come Italia un rapporto di partenariato naturale con i Paesi dell'America Latina che cercano anche risposte nella nuova politica italiana; penso ovviamente all'Africa che non è soltanto un continente di povertà e di guerre, ma anche una grandissima opportunità di sviluppo umano, civile, sociale e anche economico. Ma noi abbiamo intorno a noi l'area più instabile e più faticosa del pianeta, da qui passano tutti i conflitti principali del mondo. Allora c'è bisogno di un ruolo dell'Unione Europea innanzitutto consapevole delle proprie potenzialità, consapevole che ci sono alcune zone del mondo dove soltanto quello che l'Unione Europea può proporre e può fare porta una differenza, e quindi c'è una responsabilità da esercitare. Ma c'è un modello europeo che può essere utile per prevenire e gestire queste crisi. Ed è una strada che abbiamo un po' perso. L'Unione Europea è una storia innanzitutto di successo, anche se si fa fatica in questa fase a far passare il messaggio, ma se si va in Medio oriente o in America Latina si vede benissimo come l'Europa sia un modello di integrazione regionale di cui altri hanno grandissima voglia e bisogno. A volte anche noi non ce ne rendiamo conto, è bene che ce lo diciamo. E qual è il segreto della storia di successo dell'integrazione Europea: è il fatto che dal farsi le guerre, due guerre mondiali sono nate qui, siamo passati a condividere interessi, spazi, passaporti, moneta. Si può discutere su come queste cose siano state fatte, su cosa di meglio si possa fare, ma il fatto che in qualche decennio, in un periodo breve della storia, siamo passati dall'essere il luogo delle divisioni al luogo dell'integrazione e della pace può essere un modello utile per altre regioni del mondo, a partire da quella mediorientale. Siamo impegnati in questi giorni a provare a far passare il messaggio, per esempio sulla Siria e sull'Iraq, che soltanto una politica inclusiva di tutte le parti della società di questi paesi in conflitto e soltanto un positivo coinvolgimento di tutti gli attori regionali, a partire dai Paesi del Golfo e dall'Iran, possano portare ad una qualche forma di stabilità e di nuovo equilibrio regionale. C'è bisogno di un'Europa che faccia il proprio mestiere nel mondo, di un'Europa che assuma la responsabilità della prevenzione dei conflitti, della mediazione nei conflitti, della gestione post conflitto, perché quello che sta succedendo oggi in Iraq, quello che succede in Libia, quello che speriamo non succeda in Afghanistan, ci dice che il momento più delicato, che uno condivida o meno gli interventi militari, è comunque quello che succede dopo gli interventi militari, e questa è la prima grande lezione da trarre. Un'Europa che faccia questo mestiere è un'Europa che è utile, io credo, a tutto il mondo in termini di stabilità e quindi anche di sicurezza e di sviluppo. Rispondo su due punti che sono stati sollevati e su cui mi fa piacere interloquire. Il primo è il TT, la partnership sugli investimenti tra Unione Europea e stati uniti. E' stata chiesta maggiore trasparenza, in realtà aggiornamenti ed elementi dello stato del negoziato ci sono, sia nella sede del Parlamento europeo sia nella sede del Parlamento nazionale, come è ovvio. Ma io sarei ben contenta, se ne avete interesse e voglia, di stenderli anche ai livelli di questo Consiglio comunale. Penso che sarebbero un valore aggiunto la trasparenza e la condivisione e anche la discussione più diffusa possibile di questo tipo di percorsi. Qualcuno chiedeva a che punto siamo e cosa sta succedendo, in realtà i negoziati sono iniziati da diverso tempo e credo che andranno avanti per ancora diverso tempo. Sicuramente non sarà un accordo che verrà concluso durante il semestre di Presidenza italiana e quindi se la preoccupazione è quella di poter avere informazioni, seguire e poter influire , c'è tutto lo spazio per farlo e sono sicura che ci saranno sedi di dibattito su questo, sia in Parlamento europeo, sia in Parlamento nazionale e se ce ne fossero anche a livello locale non vedrei nessun tipo di problema. E vengo però al tema sollevato da ultimo dal Presidente Facci, che ringrazio per averlo fatto, e anche la presidente del Gruppo misto che lo aveva anticipato, e cioè quello di Massimiliano e Salvatore i nostri due fucilieri di Marina che sono a Nuova Delhi oramai da due anni e mezzo. Come veniva ricordato questo Governo ha cambiato strategia e ha avviato la fase della internazionalizzazione, devo dire con una strettissima collaborazione con il Parlamento, per una volta completamente unito, seguendo anche le indicazioni di un OdG a prima firmato e sostenuto da tutti i gruppi parlamentari che indicava la strada della internazionalizzazione e lo stiamo facendo in costante raccordo con loro innanzitutto, perché pensiamo che sia utile coinvolgerli in tutte le fasi decisionali e con le loro famiglie e devo dire che, sia loro che le loro famiglie, stanno dimostrando un senso dello Stato e della responsabilità encomiabile che penso tutte le Istituzioni e tutta la Politica dovrebbero sempre tenere come punto di riferimento. Le nostre due stelle polari sono quelle già citate: rifiuto della giurisdizione indiana e il rimarcare la loro immunità funzionale. In India, come sapete, c'è un nuovo governo appena insediato, io ho avuto alcune conversazioni telefoniche con la Ministro degli Esteri indiano, altri canali sono stati aperti, stiamo lavorando su questa strada. La consapevolezza della comunità internazionale sul fatto che questo è un caso che non riguarda l'Italia solamente, o le relazioni bilaterali tra l'Italia e l'India, ma riguarda l'intera comunità internazionale, c'è. Ne abbiamo discusso con Ban-Ki-moon a New York, ne abbiamo discusso con il Segretario Generale della Nato a Bruxelles, ovviamente con le strutture dell'Unione Europea, sappiamo che la vicenda non è semplice. Dei passaggi e delle responsabilità del passato io ho sempre detto che ne parleremo soltanto a vicenda conclusa. Questo è il momento dell'unità del Paese, dell'unità delle istituzioni, della massima responsabilità, perché ogni parola e ogni atto che facciamo qui in Italia, soprattutto nelle sedi istituzionali, ha una rilevanza o un impatto positivo o negativo sulla loro vicenda e quindi quello che stiamo facendo è costante, a volte silenzioso, ma costante e determinato e sopratutto unisce tutto il Governo e spero che possa unire tutte le Istituzioni dal Parlamento fino ad ogni Consiglio comunale che discuta su questo. Concludo perché penso di avere un po' abusato del vostro tempo e della vostra pazienza, ma le idee che ho sentito sono state molte e avevo voglia e piacere di rispondere a tutte e spero di non averne lasciate fuori troppe. Vorrei riprendere le parole del Presidente Facci e di Bernardini che entrambi hanno fatto riferimento alla forza di cambiare. Bisogna avere ed esercitare la forza di cambiare e portare più Italia in Europa. E' esattamente quello che ci stiamo sforzando di fare e sappiamo benissimo che la nostra forza sarà maggiore se riusciremo a mostrare al livello europeo la credibilità delle riforme e del cambiamento che stiamo provando a fare nel nostro Paese. E' la credibilità in questo momento oltre alla fiducia degli italiani e le aspettative dei nostri partner europei a poter fare la differenza sul cambiare le politiche ed il modo di funzionare dell'Unione Europea. E io mi auguro che questo banco di prova che ora inizia con il semestre italiano spero e penso che possa continuare per tutti gli anni della legislatura europea che si apre il 1°luglio e che possa veramente portare ad un Europa degna dei sogni e dei progetti di chi l'ha pensata quando ancora non era L'Unione Europea. Grazie"
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