Bologna, 21/03/2014
|
"La mafia qui da noi al nord e in particolare in Emilia Romagna è presente. Ed è presente nella sua evoluzione e forma più pericolosa: ovvero la mafia dei colletti bianchi, la mafia dell’economia, della finanza, dei lavori. La mafia oggi ha quello che più di tutto manca alle imprese nella condizione di crisi in cui siamo: la liquidità. Le aziende sane sono quindi fortemente tentate a stringere partnership con aziende mafiose che riescono quindi a entrare negli appalti pubblici nascoste dietro ad aziende sane con la certificazione antimafia in ordine. Ed è quindi in questi ambiti che abbiamo il dovere di concentrarci. Per questo oggi è più che mai importante fare attenzione a ogni sub-contratto. Evitando equivoci tra subappalti e subaffidi. Ma estendendo l’attenzione a tutti i subcontratti. Su questo il nostro gruppo ha formulato un atto di indirizzo poi approvato dal Consiglio ed ha invitato in commissione per discuterlo Ivan Cicconi uno dei massimi esperti di lavori pubblici che ci ha ribadito l’importanza dello scrupoloso rispetto, oggi più che mai del comma 11 dell’articolo 18 del codice degli appalti) ovvero l’obbligo in capo all’affidatario di un lavoro di comunicare alla stazione appaltante (nel nostro caso il Comune di Bologna e le sue partecipate): il nome del subcontraente, l’importo del contratto l’oggetto del lavoro, servizio o fornitura affidati per tutti i sub contratti. Questo obbligo è in capo all’affidatario ed è importante che nei documenti di gara venga prevista una sanzione per il mancato rispetto di questa norma. Sanzione che manca nella normativa nazionale. Mettendo tutto online esattamente come avviene per l’affidamento principale. E questo deve essere visto anche alla luce dell’obbligo di tracciabilità dei flussi finanziari nei contratti pubblici previsto dalla legge Maroni del 2010. Tutti i flussi di denaro, anche quella di tutti i subcontratti devono transitare su conti correnti dedicati. Se aggiungiamo una sempre maggior connessione tra le prefetture per scambiarsi le informative antimafia, alla disponibilità di tutti i subcontratti in rete e quindi alla possibilità di fare ricerche da qualunque parte d’Italia, toglierebbe parecchi spazi di movimento alla criminalità economica. Questa è la trasparenza su cui dobbiamo investire le nostre energie prioritariamente e non in attività virtuose, ma secondarie. Queste alcune delle operazioni che si possono fare e che si devono fare avendo sempre presente l’esempio delle persone e delle vittime innocenti che ricordiamo oggi. Tante… troppe vittime. In un paese in cui è aperto persino un processo su una presunta trattativa Stato-mafia. Un processo che va avanti da troppo tempo e che fa male a questo paese. Chi sa deve parlare, questo processo va concluso e la verità deve emergere nel più breve tempo possibile Nell’ordine del giorno di oggi ricordiamo Pino Masciari a cui abbiamo dedicato la seduta del 2012, ricordiamo Giovanni Tizian e la memoria immortale di Angelo Vassallo. Tutte persone che si sono ribellate alla criminalità organizzata con gli strumenti che avevano a disposizione. Pagando prezzi altissimi, anche la vita. Sarebbero tanti i nomi, in questa giornata di memoria io vorrei ricordare quello di un ragazzo, forse meno noto di tanti altri, ma il cui esempio non è certo da meno. E’ Giuseppe Gatì, nato in un paese siciliano, uno di quelli da cui tanti giovani decidono di andarsene e in cui lui invece aveva scelto di restare dicendo: “E’ arrivato il nostro momento, il momento dei siciliani onesti, che vogliono lottare per un cambiamento vero, contro chi ha ridotto e continua a ridurre la nostra terra in un deserto, abbiamo l’obbligo morale di ribellarci‘” Giuseppe in nome di questi principi, condusse le sue battaglie investendo risorse ed energie fino al limite delle proprie possibilità con rara tenacia. Coinvolgendo con il suo valore tante altre persone. Il 28 dicembre 2008 ad Agrigento non esita a gridare “Viva Caselli, viva il pool antimafia”. Lo grida in un incontro istituzionale, alla presenza di Vittorio Sgarbi che era stato condannato per aver diffamato il dott Caselli, Procuratore della Repubblica di Palermo. Il 31 gennaio 2009 muore, in quello che viene definito un incidente sul lavoro. Giuseppe è stato e sarà di esempio per molti altri, ma soprattutto ci lascia un insegnamento: quello dell’”orgoglio della legalità” a cui non si possono accettare deroghe. Un “orgoglio della legalità” che si affianca e si intreccia alla cultura della legalità in cui giustamente ci impegniamo. Ora dobbiamo andare oltre, seguire l’esempio di Giuseppe ed essere tutti “orgogliosi della legalità” e di chi, in nome di essa opera e rischia la sua libertà e la sua vita. Nelle parole di Giuseppe io sostituirei siciliani con italiani perché quello che diceva ha una portata ampia e nazionale che ci deve coinvolgere tutti: 'E’ arrivato il nostro momento, il momento degli italiani onesti che vogliono un cambiamento vero. Abbiamo l’obbligo morale di ribellarci contro chi riduce il nostro paese in un deserto'."
|