Bologna, 21/03/2014
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"L'elenco comincia con Emanuele Notarbartolo, ucciso nel 1893 e termina, in una sequenza drammaticamente incompleta e temiamo provvisoria, con quelli di Nicola Campolongo e Domenico Petruzzelli, i due bambini uccisi perché nati nelle famiglie sbagliate. E' l'elenco delle vittime di mafia pubblicato da Libera, dove figurano i nomi di combattenti in prima linea e vittime inermi, anche bambini, perché purtroppo Domenico e Cocò non sono stati i primi a cadere sotto il fuoco delle mafie, perché la mafia è come la peste, per usare le parole di Don Ciotti, e il suo contagio non ha confini, non li ha mai avuti, nella strage di Portella della Ginestra come negli agguati di strada. Altro che codice d'onore oggi perduto! Vincenzina La Fata, 8 anni, è stata uccisa nel 1947, e nell'elenco si aggiungono a lei Annalisa Durante, Nunzio Pancali, Gioacchino Costanzo, due anni, assassinato nel 1995 e Valentina Terracciano, due anni, «giustiziata» a Pollena, nel negozio dello zio, i piccoli Andrea Savoca, Domenico Gabriele. Il famoso codice d'onore... quello per cui i Giuseppe Letizia, il pastorello che, nel 1948, che vide Luciano Liggio assassinare il sindacalista Placido Rizzotto e gettarlo nella foiba di Roccabusambra, a Corleone, fu portato in ospedale e ucciso, con una iniezione d’aria, dal direttore sanitario e capomafia, Michele Navarra. No, non c'è mai stata l'età dell'innocenza nella storia delle mafie. La sua pretesa di essere un anti stato, di provvedere a esigenze e bisogni che lo Stato non garantiva si è sempre accompagnata col dare morte, col l'esercizio della violenza come strumento di consolidamento del consenso o di eliminazione della resistenza e del consenso. Senza guardare in faccia a nessuno, assumendosi fino in fondo la responsabilità dei "danni collaterali", vite bambine stroncate compresi. Nell'alternanza di guerre e tregue, di legalità ed eversione, le mafie si sono caratterizzate per essere, più che un anti stato, un altro stato, in certi periodi perfino dialogante ed insinuante con lo stato ufficiale, svolgendo, è questa forse la tragedia più grande dopo il consumarsi delle vittime innocenti, una funzione suppletiva, perfino sussidiaria e facilitante, dove lo stato si è ridotto a strumento inerte di burocratiche negligenze o colpevoli assenze. Ma la forza delle mafie, nei periodi di guerra come in quelli di tregua apparente, dove l'infiltrazione si espande perfino in terre come la nostra, è stata anche nella capacità di inserirsi nello smarrimento culturale dei valori della solidarietà e del diritto, sostituendo alla prima la complicità e al secondo l'elargizione del favore. E' stata la sua capacità di permeare istituzioni fino a rientrare nelle regole del suo avversario, di riciclare, con il denaro sporco, anche l'immagine pubblica dei suoi esponenti e sostenitore, che amano intraprendere strade clandestine e criminali per raggiungere dimensioni legali. Per questo va sottolineato il significato attivo, dinamico, non formale e burocratico della parola legalità, quando parliamo di lotta alle mafie. La battaglia sulla legalità è l'indicazione chiara di definire nuovi spazi di condivisione attiva di regole che mettano a frutto il lavoro quotidiano di chi contrasta la pratica e la cultura mafiosa: togliere terre alla mafia, riconvertirle ai fini di un uso solidale; togliere legittimazione culturale alla mafia, sostituendo alla cultura del favore quella dei diritti. Questo stanno facendo Libera e tante associazioni sul territorio, e cominciano dal cuore del paese, dai luoghi dove la formazione, l'educazione sono il primo presidio della convivenza civile, della cultura di una cittadinanza attiva, consapevole e solidale. Seminare partecipazione e solidarietà, questo è il punto. Come ha detto il premio nobel per la pace Perez Esquivel la grande ricchezza dell'umanista nella . 'La vostra lotta e' anche la nostra lotta, siamo uniti per un mondo migliore. E quando si vede questa moltitudine di gente si capisce che c'e' speranza per sconfiggere la mafia." Ha pronunciato queste parole a Firenze, lo scorso anno, davanti a 150.000 persone. E mentre Don Ciotti abbracciava con lo sguardo quella preziosa marea umana, Franco La Torre, figlio di Pio La Torre, ha detto: "Vietato stupirsi, il Paese è questo, ma la classe politica non lo capisce. Ci sono belle facce, tanti giovani che mandano un grido di dolore alla politica, al Parlamento". Accogliamo quell'energia, anche noi, nella nostra terra, dove famiglie di untori, nelle zone attraversate dalla crisi, stanno cercando di diffondere la peste nera".
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