Bologna, 26/01/2015
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"Signori consigliere, signori consiglieri, colleghi di Giunta, autorità civili e militari presenti, cari studenti, care studentesse, nel 1999, Annette Wieviorka, pubblica in Francia 'Auschwitz spiegato a mia figlia'. Ad una eredità pesante (stretti parenti suoi e del marito avevano perso la vita ad Auschwitz, entrambi portavano il nome di un parente morto nel più noto lager nazista) avevano consacrato buona parte del loro lavoro, in particolare del loro lavoro accademico. Come storica, lei stessa aveva affermato fosse tutto sommato più facile descrivere come si fosse svolto il genocidio degli ebrei o come funzionasse un campo come quello di Auschwitz, ma era stato il confronto con la figlia, tredicenne, ad averla impegnata di più a rispondere a domande formulate in modo così diretto come spesso gli adolescenti riescono a fare, e a cui ancora non riusciva a rispondere pienamente. Wieviorka si soffermava molto sulle questioni che per noi, stamane, hanno particolare rilevanza: come è possibile voler ridurre le persone a sofferenza e bisogno, senza dignità e discernimento a partire dalla privazione anche del loro stesso nome? E ancora: come è possibile colpire i bambini e le bambine che in questo caso, cioè nel caso della deportazione e della Shoah, non subirono solo gli effetti di una delle tante che guerre che ancora oggi sono presenti, effetti che, indistintamente, colpiscono la popolazione civile, senza distinzione tra uomini e donne, vecchi o bambini, ma con l'intento, in quello specifico caso, di cancellare una intera stirpe, per sempre, dalla terra? Sono questioni, queste, su cui abbiamo, oggi, chiesto al professor Canevaro, che a lungo ha studiato gli effetti delle guerre sui bambini, di intervenire e voglio, fin da subito, ringraziarlo per aver accettato il nostro invito ad intervenire in Consiglio comunale. Come voglio fin da subito ringraziare tutti i componenti del tavolo istituzionale presieduto dal Comune, la regione Emilia-Romagna, la comunità ebraica, il Museo ebraico, l'Università, il l'Ufficio Scolastico Regionale, l'istituto storico Parri e l'ANED (Associazione nazionale degli ex-deportati) per avere condiviso la scelta di approfondire una questione ancora troppo poco indagata (la relazione tra infanzia, deportazione, infanzia e Shoah, e per avere, ognuno per parte sua, promosso decine di iniziative pubbliche in occasione della Giornata della Memoria. Questo anniversario infatti, per tutti noi, ricopre molti significati, come solitamente accade nei cosiddetti anniversari "tondi", sono infatti passati esattamente 70 anni dall'apertura dei cancelli Auschwitz e anche 15 dalla legge 211 con cui il Parlamento italiano ha istituito la "Giornata della Memoria" e, così facendo, invitato a promuovere iniziative, leggo come faccio tutti gli anni il titolo di quella legge, "in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti". A tanti anni da quei fatti, in un momento cioè in cui coloro che sopravvissero ai campi, oggi, per ragioni di età vengono via via a mancare, ricordare significa fare del nostro meglio per assumere la responsabilità di quella eredità, per assumere, accogliere quella eredità, l'eredità che gli ex deportati ci consegnano. Il sindaco, in questo senso, ha voluto stamane - lo abbiamo fatto anche insieme alla vicepresidente, al consigliere Mazzanti, incontrare gli ex deportati di Bologna ancora oggi in vita. Ha evidentemente, e a questo ci associamo, voluto riconoscere loro certo di essere stati, loro malgrado, testimoni diretti dei lager, e poi successivamente di avere saputo trovare le parole per raccontare quell'esperienza agli studenti e alle studentesse della nostra città e non solo. E allora voglio fin qui dire che il Consiglio comunale di Bologna saluta Osvaldo Corazza, Salami Luciano, Stefanelli Armando, Isolina Turrini, Franco Varini che partecipano oggi alla seduta solenne, tutti ex deportati che da Bologna hanno vissuto l'esperienza di diversi lager nazisti e sono riusciti a ritornare nella nostra città e a raccontare dopo molti anni la loro esperienza. Ricordare però non significa solo accogliere questa eredità che già di per se' è di particolare impegno, ma significa anche contrastare, fin dal loro apparire, tutti quei segnali di odio, di intolleranza, di disprezzo nei confronti delle tante diversità e differenze che attraversano, anche oggi, il nostro tempo storico e le nostre stesse vite. Il Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, che sempre ha sottolineato come il sogno di una Europa unita sia stato conseguente agli orrori della prima e della seconda guerra mondiale, e che ci ricorda come la costruzione delle istituzioni europee sia stata la risposta più concreta, istituzionale, per molti aspetti storica alla macabra ambizione del nazi-fascismo di dominare il mondo facendo prevalere le ragioni di una presunta razza, di recente ha invitato tutte le nuove generazioni ad assumersi la responsabilità del ricordo di quei fatti, perché non abbiano più a ripetersi. Mi piace oggi dire che questo invito è stato nei fatti pienamente accolto a Bologna da molti studenti e studentesse che in un lavoro lungo un anno, coordinati dall'istituto Parri e dalle loro insegnante, mi riferisco in particolare alla professoressa Baiesi e alla professoressa Verzelli che oggi è qui presente, hanno ricostruito le storie di quei 150 studenti che a Bologna, a seguito della promulgazione delle leggi razziali, non andarono più a scuola. I nomi di 38 di loro, quelli delle elementari, saranno rievocati qui, in Consiglio comunale, tra breve. E voglio insistere su queto aspetto perché tanto il nazismo, quanto il fascismo avevano investito moltissimo nell'idea di costruire il regime a partire dalla scuola: in primo luogo per raggiungere meticolosamente ogni parte della popolazione, il numero più alto di cittadini e cittadine e poi per affermare al meglio lo spirito nazionalista e l'ideologia razzista. Come ben ci ricorda un bel lavoro del Museo ebraico di cui ieri è stata ieri inaugurata una mostra intitolata "Matite razziste sui libri e la scuola nella persecuzione antisemita", tre dei cinque provvedimenti di legge relativi alla segregazione razziale, in epoca fascista furono relativi alle scuole. Anche alla luce di questo, la presenza di numerose classi delle scuole superiori di Bologna, in particolare il Liceo Galvani, il Liceo Righi, l'Istituto Manfredi Tanari, è particolarmente preziosa, e permettetemi di sottolineare questo aspetto, si tratta di studenti che certamente approfondiscono già a scuola le questioni che noi stamane affrontiamo e che, in più, questo è l'aspetto che voglio sottolineare, hanno scelto di partecipare alla seduta a questo dedicata del Consiglio e cioè dell'istituzione bolognese composta dagli eletti dei cittadini di ogni schieramento. L'augurio che voglio rivolgere loro è che l'incontro con l'istituzione bolognese, a partire dal ricordo dei campi di concentramento e di quello che è stato il 27 di gennaio, sia motivo, da maggiorenni, di impegnarsi direttamente in politica e nelle istituzioni, a partecipare in prima persona al gioco democratico perché libertà e democrazia non sono un dato statistico dati una volta per tutti all'interno della nostra comunità. Mi piace concludere questo saluto leggendo le ultime righe del piccolo volume della Wieviorka con cui ho voluto aprire questo saluto, alcune parole che l'edizione di Einaudi ha affidato ad Amos Luzzato "si continuano a pubblicare ricerche in proposito, ma il tema non è esaurito perché la crudeltà umana si è nutrita e si nutre ancora, se funzionale ad un disegno politico, di stermini di massa, di deportazioni, di torture. Non è esaurito perché a fronti di tale manifestazioni orribili, larghi strati di indifferenza continuano a manifestarsi. Ecco, fare in modo che quella Mathilda (la figlia a cui il libro è rivolto) e tante altre Mathilde possano fare di questa riflessione un rafforzamento della propria coscienza, che possano comunicare ai loro coetanei che cosa si può nascondere nelle pieghe di un mondo e di una società che ama proclamarsi civile e progressista. Fare in modo, infine, di capire e far capire che una società che ancora oggi, con tutti gli strumenti possibili, escluda dal proprio seno una o più delle sue componenti, ha un solo bisogno, che è quello di essere profondamente trasformata".
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