Bologna, 21/03/2014
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"Signor Sindaco, Signora Presidentessa del Consiglio comunale, signori assessori, signori e signore consiglieri, autorità civili e autorità militari, in queste ore Libera in tante piazze sta ricordando, nome per nome, le centinaia di di vittime innocenti della mafia. Noi vogliamo ricordare che sono passati tre anni dall’entrata in vigore di due Leggi regionali aventi lo scopo, l’una, di contrastare l’inserimento della criminalità organizzata nel settore dell’edilizia e della logistica e, l’altra, di creare la più vasta conoscenza possibile del fenomeno mafioso nella mentalità comune dei nostri cittadini e della comunità in cui viviamo. Eppure, nonostante l’impegno della Regione Emilia-Romagna, del sistema delle Autonomie locali, delle associazioni delle forze di polizia, della magistratura, mi sento in grado di dire che non siamo riusciti a creare quei muri invalicabili per sbarrare l’inserimento delle attività criminose sul nostro territorio. Colpa di inettitudine o di sottovalutazione del problema? Per quanto ci riguarda è difficile dirlo, perché già dal 1995 nell’ambito del progetto “Città sicure” monitoriamo non solo la criminalità, la microcriminalità ma anche, quando ci riusciamo, i fenomeni delle varie criminalità organizzate. Da alcuni anni si è iniziato a ragionare pubblicamente sul pericolo del crimine organizzato e sulla devastazione che è in grado di determinare nei luoghi in cui sceglie di agire o di porre le basi operative. La mafia, o meglio, la criminalità organizzata a cui essa appartiene, è come un’anguilla che sa rinnovarsi e prosperare nelle limacciose paludi e nel contempo attraversare limpidi oceani. O meglio, come ha detto il capo di una ’ndrina che opera in Lombardia, un certo Giuseppe Perbene, detto o’papa, arrestato il 5 marzo scorso diceva “Dobiamo essere come il polipo, i nostri tentacoli si devono attaccare dappertutto. Ci sono le condizioni per farlo e a qualche tentacolo restarà agganciato qualcosa”. Quella ’ndrina veniva definita “la Banca d’Italia”, come avrete letto di recente sulla stampa, perché possedeva locali dove effettuare il riciclaggio del denaro sporco e nel contempo teneva ben strette la rete dell’usura e pian piano acquisiva rispettabilità diventando imprenditore delle aziende strozzate e ingigantendo la possibilità di riciclaggio e facendo sparire le aziende non più utili. Anche a Bologna più recentemente è stata sgominata un'organizzazione della camorra specializzata in usura, evasione fiscale, gioco d’azzardo, riciclaggio, spaccio, dopo lunghe e difficili indagini del Dia bolognese diretta dai giudici antimafia. Sono partita da queste considerazioni per dire che diverse sono le prospettive del fenomeno mafioso e organizzato che la legge regionale intende affrontare. Infatti con essa, le attività in campo stanno sotto il suo titolo “Misure per l’attuazione coordinata delle politiche regionali a favore della prevenzione del crimine organizzato e mafioso, nonché per la promozione della cultura della legalità e della cittadinanza responsabile”. In particolare gli interventi si concentrano sulla prevenzione laddove si può indebolire il tessuto sociale “sano” e c’è la paura di delegittimazione delle istituzioni locali, da sempre rilevanti torri di guardia, contro il radicarsi di culture e pratiche mafiose. Come era solito dire Giovanni Falcone: la lotta alle mafie va iniziata ancora prima, in una fase precedente al contrasto investigativo e militare alle organizzazioni criminali, mirando a prevenire l’affermarsi della cultura mafiosa. Per quanto forte e indispensabile possa essere l’attività della Magistratura e della Polizia Giudiziaria essa ha la necessità che cresca al posto della gramigna da loro estirpata, un campo di grano coltivato. È difficile, ma non impossibile come, ad esempio, ci ha insegnato “Libera” che con la cooperativa “Libera Terra” dà concretezza alle parole appena dette. Dissoda la gramigna dall’abuso criminale, dalla violenza, dal terrore e dal ricatto morale. Mette a dimora la speranza della crescita della pianta della legalità, del lavoro come liberazione, dello sviluppo, della libertà e della dignità contro la subordinazione mafiosa. Ma tutti noi sappiamo che nel mondo della criminalità organizzata, non sono tollerate oasi di pace e di indignazione. Per questo è importante che si rafforzino e si possano allargare queste oasi attraverso l’estendersi della conoscenza del fenomeno e con essa rafforzare un tessuto sociale sano con il risveglio delle coscienze e del coraggio civile. Anche in questo caso diventano fondamentali le politiche delle Pubbliche Amministrazioni che oppongono alla mafia dei delitti una linea concreta di antimafia dei diritti in tutto il proprio raggio d’azione. Una linea che sappia fare comunità e che faccia divenire il coraggio e l’indigazione di uno, il coraggio e l’indignazione dell’intera comunità. Il giudice Nino Caponnetto, capo del pool di Palermo che aveva fra i suoi collaboratori Falcone e Borsellino, una volta andato in pensione girò instancabilmente le scuole d’Italia a spiegare cos’è la mafia e come la si combatte. Il suo concetto era: la mafia teme più la scuola che la giustizia. La mafia teme le persone libere, perché la loro libertà si trasforma in impegno e in aiuto per chi libero non è. L’istruzione, la libertà individuale, la difesa della democrazia, l’etica dello Stato nei confronti dei propri cittadini, il rispetto della dignità delle persone e la reciproca solidarietà concreta sono gli ingredienti del concime da spargere in quel campo di grano. In mancanza del quale la gramigna invasiva è capace di tornare a renderlo sterile ed abbandonato alla crescita della malvagità. Sono aspetti che ritengo molto importanti, come molto importanti sono gli incontri con le scuole, le associazioni, organizzazioni di polizia, la magistratura per far conoscere la criminalità organizzata dai cento volti e dalle cento invisibilità. Pensiamo semplicemente allo sballo del sabato sera, alla pasticca presa quasi per moda o per forza della compagnia. Non è un fatto che finisce lì ed in sé stesso, ma è un rivolo che alimenta l’ampia malavitosa palude dello spaccio dominato in Emilia dalle mafie dai nomi diversi. Fino a poco tempo fa pensavo che il fenomeno mafioso in Emilia-Romagna fosse episodico e non radicato. Ma ci siamo accorti che così non è. Basti pensare i numerosi incendi dolosi o alle inchieste sul gioco d’azzardo sulle slot machine, sullo sfruttamento della prostituzione, del lavoro nero e via via Nonostante ciò possiamo affermare che la nostra Regione non è terra indifferente ai sui tentativi di inserirsi, anche se la durissima crisi economica tende a facilitare l’immissione nella nostra realtà di capitali sporchi da riciclare. Se poi a questo aggiungiamo anche i disastri causati prima dal terremoto, poi dalla tromba d’aria, poi dalle frane, ed infine dall’alluvione, il pericolo può sicuramente aumentare ed è per questo che la vigilanza deve essere massima e la messa a disposizione delle risorse dello Stato molto, molto rapida. Con la legge 3 del 2011, si è trattato di assicurare continuità ad iniziative già avviate dalla Regione Emilia Romagna, ampliare e rendere coerente il complesso delle attività, che già avvenivano nel sistema regionale, allo scopo di creare basi solide per un impegno sempre più costante ed efficace, facendo rete fra Istituzioni, associazioni sociali, imprenditori e sindacati, forze dell’ordine e magistratura. In estrema sintesi le azioni fatte, le elenco in breve, sono 15 i progetti di rilievo regionale promossi da associazioni di volontariato e sostenti dalla Regione con 373.000 euro, e che riguardano in particolare: decine e decine di incontri e laboratori per giovani, studenti ed insegnanti; percorsi didattici sulle mafie e la legalità dedicati ad amministratori ed aziende, giovani imprenditori, incluso l’utilizzo di Web e i nuovi media; rappresentazioni teatrali e cineforum sul tema della legalità; arricchimento della documentazione specializzata per centri studi dedicati alla cultura della legalità; organizzazione di campi di volontariato per i giovani emiliano - romagnoli per vivere l’esperienza del riutilizzo dei beni confiscati alla mafia. Poi un altro filone d'intervento sono 60 accordi siglati con pubbliche amministrazioni per la realizzazione di progetti di prevenzione e contrasto e per il recupero di beni confiscati, con un impegno finanziario per la regione di 1.350.000 euro, e che ha riguardato 41 fra Comuni e associazioni di Comuni, sette Amministrazioni provinciali, Scuole superiori, Università, Camera di Commercio. per fare cosa? Si sono fatte 9 ricerche tematiche, con le università, corsi formativi, anche di natura specialistica; due “Centri per la legalità”, l'attivazione di sei osservatori locali sulla criminalità organizzata e per la diffusione della cultura della legalità e ne è stata sostenuta la creazione in quei luoghi in cui dal "basso" volevano farli nascere cioè nelle province di Rimini, Parma, Piacenza e nelle Amministrazioni comunali di Modena, Reggio Emilia e Forlì. Il recupero e riutilizzo di otto beni confiscati e sono stati destinati in un caso un’abitazione a casa rifugio per le donne vittime di violenza, alla copertura di esigenze abitative, all’uso di un immobile come sede di un parco regionale con aule didattiche o a bibliotece e servizi alla comunità. Un esempio fattivo di quello che abbiamo iniziato a fare insieme con il Comune di Bologna sul tema della promozione della legalità. Mi riferisco all’attivazione dello “Sportello S.O.S. Giustizia – Sportello di Ascolto e Accompagnamento” e alla prosecuzione col percorso formativo “Officina per la legalità”, diretto da gruppi di ragazzi individuati in collaborazione con gli operatori socio-educativi attivi nei quartieri. Il progetto di prevenzione della devianza giovanile “AggregAzioni giovanili: ritrovare la strada” realizzato nei quartieri Navile, San Donato, Santo Stefano e San Vitale. Si tratta di azioni di fondamentale importanza per prevenire la formazione di bande di strada e hanno al centro della loro azione la promozione del senso civico, dell’appartenenza alla comunità, alla cittadinanza attiva e, al contempo, di agire su adeguate forme di gestione del disagio e di prevenzione e contrasto della devianza. Mi riferisco poi ad esempio al progetto “Pilastro al centro”, recentemente finanziato che prevede la riqualificazione delle aree verdi del Parco Pasolini e degli spazi pubblici adiacenti, la promozione di interventi e di integrazione interculturale e intergenerazionale e la realizzazione di percorsi di educazione a nuovi stili di vita, solidali ed ecosostenibili. Infine non posso dimenticare il ruolo di sostegno che la Regione ha dato negli ultimi dieci anni al Comune di Bologna per ’ammodernamento e il miglioramento del sistema complessivo di videosorveglianza per il monitoraggio delle zone più critiche della città. Ecco quindi quello che noi pensiamo si possa fare per lottare contro la mafia: più stato sociale, quindi più reti protettive, più diritti, più rispetto per l’ambiente, più democrazia partecipata, maggiore conoscenza del fenomeno e della violenza. Concludo proprio su questa base. È il momento di dimostrare tuta la nostra avversità al fenomeno criminoso rafforzando la nostra difesa, non come slogan, ma nella realtà. nella realtà quotidiana. Combattiamo affinché non si permetta che concetti come violenza e distruzione passino accanto, ci passino accanto, ignorati, nel sentiero della nostra vita".
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