Bologna, 19/03/2015
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" Signor Sindaco, Autorità, Signore e Signori, Marina, Francesca, ricordare Marco Biagi è per me un grande onore, ma anche fonte di un’intensa emozione. Prima di me lo hanno fatto in questa sala numerosi colleghi in modo sicuramente più adeguato, ma, se anche non risulteranno all’ altezza di chi mi ha preceduto, le mie parole sono sicuramente dettate da un sentimento profondo di affetto, stima e gratitudine. Il mio ricordo di Marco è assolutamente vivo e rimarrà indelebile. Rammento benissimo che, poco dopo la mia laurea nel gennaio del 1982, ancor prima di avere l’occasione di presentarmelo, il nostro comune maestro, Luigi Montuschi, mi consigliò di rapportarmi nella mia attività di ricerca anche con lui, allora professore associato presso l’Università di Modena. Mi resi conto subito, sin dai primi incontri, che si trattava di un ottimo suggerimento e che quella frequentazione mi avrebbe arricchito da un punto di vista scientifico ed umano. Marco era un grande lavoratore, persona determinata, ma nel contempo corretta, affidabile, socievole, sempre disponibile a confrontarsi e ad ascoltare, capace di trasmettere passione per lo studio e di dispensare consigli ai più giovani. La simpatia, credo reciproca, nacque spontanea. Marco era sincero e diretto, come piace a me, comunque sempre gentile e mi mise subito a mio agio. Mi aiutò molto, con ottimi consigli, specie nei primi tempi nella ricerca e nei rapporti con i maestri della Scuola bolognese. Fu per me una sorta di fratello maggiore. Per diversi anni, fino a quando presi servizio quale ricercatore nell’Università di Trento, i nostri momenti di confronto e di incontro anche extra-lavorativi furono numerosi. Per qualche tempo andai con lui a Modena nella prospettiva di un posto di ruolo che purtroppo in quella sede sarebbe arrivato parecchio tempo dopo, quando ormai la mia carriera aveva trovato sbocco e piena soddisfazione proprio all'Università di Trento. E lì ci siamo visti per l’ ultima volta quando Marco, benché impegnatissimo, accettò il mio invito a tenere una relazione nell’ ambito di un Master in Diritto europeo e transnazionale poche settimane prima di lasciarci. facemmo insieme il viaggio d’andata in auto e affrontammo tanti argomenti, di studio e non, prima che egli intrattenesse i nostri specializzandi con la solita efficace capacità comunicativa. Questo è l'ultimo ricordo di lui che porto con me: parlammo di tutto dalla ricerca scientifica alle cose personali e sportive. Ma io voglio ricordare di Marco soprattutto la figura di studioso, l’originalità e l’attualità dei suoi contributi, la sua sensibilità per i problemi concreti, delle persone e del Paese, la sua passione civile e la sua capacità di essere propositivo, tanto da poter essere certamente definito, come ha fatto prima di me il professor Bisoni, un “giurista progettuale”, come lui aveva fatto col suo primo Maestro Federico Mancini. Giurista progettuale sembra una espressione di moda , ma non è così perché i giuristi progettuali lo sono raramente, noi siamo abituati a ricostruire il sistema a criticare, a sistematizzare, ma fare proposte e realizzare la pars construens e non soltanto la pars destruens del sistema è cosa tutt'altro che facile Sin dai primi lavori monografici (“La dimensione dell’impresa nel diritto del lavoro” e “Cooperative e rapporti di lavoro”, 1978 e 1983) emerge la sua attenzione e sensibilità per quelle aree nelle quali i lavoratori risultano meno protetti (le piccole imprese e le società cooperative, appunto) In particolare il suo libro sulle cooperative ha segnato in modo profondo la riforma che è stata realizzata nel 2001 e che reca fortissimo il segno della sua opera. Si trattava di dare garanzie a chi non ne aveva o ne aveva poche, i soci di cooperativa erano considerati non lavoratori subordinati, ma solo legati alla cooperativa da un rapporto associativo, quindi più debole. Voglio sottolineare fin d'ora che una della accuse più gravi che gli sono state mosse è quella di voler precarizzare il sistema e queste due due prime monografie le ho invece volute ricordare proprio perché muovevano e muovono assolutamente in direzione coontraria. A partire dalla conclusione della seconda monografia Marco si dedicò in modo convinto ed entusiasta agli studi comparati, che lo indussero a concentrarsi sull’ evoluzione del diritto del lavoro e dei sistemi di relazioni industriali in altri Paesi, non soltanto europei. I numerosi viaggi di studio e le sue eccellenti capacità relazionali gli consentirono di allacciare una serie di rapporti stabili e persino di vera amicizia con colleghi di tutto il mondo che molti di noi hanno poi avuto modo di conoscere anche dopo la sua scomparsa. Fu protagonista dell’organizzazione di un’intensa, ventennale, attività convegnistica transnazionale e comparata presso l’Università di Modena. Anche a Bologna insegnò per tanti anni tenendo corsi in lingua inglese presso la John Hopkins University ed organizzò a lungo presso la sede e con il contributo del Sinnea una Summer School, che vide la partecipazione di studiosi, giovani e non, di diritto del lavoro di tutto il mondo. Egli definiva la comparazione “il solo laboratorio sperimentale a disposizione del giurista” e sottolineava come essa soltanto consentisse un approccio meno ideologico - e questo lo voglio sottolineare - e più attento alla sostanza delle cose. La sua vocazione comparatistica non rimase mai fine a se stessa, ovvero circoscritta ad uno studio teorico e meramente ricostruttivo, per quanto degnissimo. Al contrario ne affinò l’attitudine progettuale: Marco trasse spunti dalle esperienze di altri Paesi per suggerire proposte di riforma e con gli anni un disegno di innovazione del diritto del lavoro volto a favorire l’occupazione, specie giovanile, e a conciliare le esigenze del mondo del lavoro con quelle delle imprese in una fase di grande trasformazione. Le sue competenze, il suo equilibrio e la sua attitudine progettuale fecero sì che egli venisse a più riprese coinvolto quale consulente e collaboratore delle Istituzioni, dapprima regionali, poi nazionali e comunitarie. Proprio la convinzione della necessità di un significativo mutamento o, come egli scriveva, di una profonda “modernizzazione” del diritto del lavoro, unita al deciso rifiuto di ogni logica di parte, lo indussero ad accettare la collaborazione con Governi di segno ben diverso. Il “Libro bianco” del 2001, che costituisce una sorta di manifesto programmatico delle riforme del diritto del lavoro del Governo di centro-destra, è in larga parte opera di Marco e riprende largamente i suoi scritti. “Se lo spartito è buono non importa chi lo suona” soleva dire: del resto egli era uomo delle istituzioni, la sua competenza veniva ricercata ed il suo impegno ha finito inevitabilmente per essere bipartisan. L’obiettivo principale che Marco perseguiva era quello di ridurre il lavoro irregolare a favore di quello regolare e questonon è marginalizzazione, non è precarizzazione, era quello cioè di ridurre il lavoro nero (cioè al di fuori di qualunque regola) ed il lavoro autonomo ( con pochissime tutele e con una minore contribuzione previdenziale) a favore del lavoro subordinato. In questa ottica propose (ed il legislatore, con la legge n. 30/2003 ed il d. lgs. n. 276/2003, fece proprie le sue proposte) che le collaborazioni continuative e coordinate (rientranti nel lavoro autonomo) fossero ammesse – pena la loro conversione in contratti di lavoro subordinato – soltanto se ricondotte ad uno specifico progetto o programma di lavoro o fase di lavoro. Anche la riforma del contratto a termine del 2001 reca in modo evidente la firma di Marco. Credo che sia importante sul punto leggere le sue parole. “Come dimostra chiaramente l’esperienza comparata, la vera segmentazione e precarizzazione del mercato del lavoro non dipende infatti dalla maggiore o minore ampiezza con cui si possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, quanto piuttosto dal grado di rigidità in uscita. La modernizzazione del mercato del lavoro è un processo particolarmente complesso e delicato che richiede da parte di tutti quell’atteggiamento positivo nei confronti dei cambiamenti che da tempo ci viene richiesto dalle istituzioni comunitarie. Ciò che viene oggi richiesto non solo agli operatori pratici ma anche alle parti sociali e agli studiosi del diritto del lavoro è quello di provare ad abbandonare una cultura (anche giurisprudenziale) costruita sul sospetto e sulla diffidenza”. Come emerge da queste pagine, la riforma dell’art. 18 st. lav. non era vista come una necessità assoluta, tanto che nel Libro Bianco se ne fa un cenno del tutto marginale, ma come una possibilità, anzi un’opportunità Un’esigenza essenziale che Marco avvertiva era quella della flexicurity, ovvero della predisposizione di una serie di protezioni sul mercato e di efficaci strumenti di politica attiva in grado di fronteggiare la riduzione delle tutele nel contratto di lavoro e di assicurare nuova occupazione, in linea con l’impostazione accolta dall’Unione Europea e dalla maggior parte dei Paesi che la compongono. Come ben noto, da talune parti si è accusato Marco (e la sua riforma) di favorire la precarizzazione del lavoro. Questo non è vero e non è giusto. A distanza di anni tali critiche si rivelano particolarmente ingiuste. Ed ancor di più lo sono quelle rivoltegli con riguardo al sistema di relazioni industriali, ovvero alla sua duplice idea di superare la concertazione sociale a favore del modello largamente praticato in ambito europeo del dialogo sociale e di riporre una maggiore attenzione alle dimensioni decentrate e territoriali. Marco, infatti, certamente non riteneva che dovesse essere indebolito il ruolo delle organizzazioni sindacali, ma, ancora una volta in una logica europea, non ammetteva che uno o più sindacati potessero esercitare una sorta di diritto di veto nei confronti dei Governi o delle imprese. In ogni caso non era favorevole al recupero dell’ azione unilaterale dei datori di lavoro e di un processo di individualizzazione dei rapporti di lavoro, ma al contrario sottolineava la necessità di un’ azione congiunta con le parti sociali (flessibilità contrattata) secondo “l’ etica della partecipazione”: la democrazia nell’ azienda, la partecipazione dei lavoratori nell’ impresa e contestualmente nel sindacato, erano visti quale valore e strumento di modernizzazione delle relazioni industriali in una logica non esclusivamente conflittuale. E di “misure di modernizzazione” si parla a più riprese nel Libro Bianco del 2001 con riguardo ai servizi per l’impiego ed alla disciplina dei rapporti di lavoro. Lavoro nelle cooperative, contratto a termine, riforma del mercato del lavoro e del sistema di relazioni industriali. Marco è stato protagonista come pochi altri nelle vicende del diritto del lavoro italiano: è stato un innovatore ed un precursore che ha visto e proposto in tempo reale, se non vogliamo dire in anticipo, le esigenze del mondo del lavoro e le possibili soluzioni per fronteggiarle. La sua opera, il suo metodo ed il suo pensiero hanno tracciato un solco nel quale si sono inseriti e continuano ad inserirsi le più recenti riforme del lavoro. Non credo che sia giusto chiedersi ora, a distanza di 13 anni, a seguito e nel cuore di una crisi economica ed occupazionale senza precedenti da cui si fatica ancora ad intravedere l’uscita, se Marco avrebbe proposto e compiuto le stesse opzioni tecniche fatte proprie prima riforma Monti-Fornero ed ancor più dal c.d. Jobs Act. Suggerisco, in altre parole, di evitare facili strumentalizzazioni. Vedo certamente differenze rispetto alle sue idee, specie con riguardo al sistema di relazioni industriali, nel momento in cui lo stesso dialogo sociale è evidentemente piuttosto “trascurato”. Ma saluto con piacere la recente riproposizione del d.d.l. sulla partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese, di cui Marco aveva più volte parlato quale misura di modernizzazione del sistema. Non ho comunque dubbi nel sostenere che le successive ed anche le più recenti riforme ne confermano e rinnovano la globalità dell’ approccio, le intuizioni ed il rispetto del metodo comparato, nella scia delle indicazioni della Commissione europea (Libro verde del novembre 2006) e delle riforme intervenute nei Paesi a noi più vicini (Francia, Spagna e Germania), che ne ribadiscono la matrice europea. Le idee di Marco, in definitiva, sono assolutamente vive ed a lui la comunità scientifica, i Governi che si sono succeduti, il Paese tutto devono essere profondamente grati. Del resto, come insegnano i classici, “le idee migliori sono proprietà di tutti (Seneca)".
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