Bologna, 10/03/2014

CONSIGLIO COMUNALE, SEDUTA SOLENNE DEDICATA ALLA GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA. L'INTERVENTO DI MARIA MADDALENA BRUNERO DEI GRUPPI DI DIFESA DELLA DONNA


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Di seguito, il discorso di Maria Maddalena Brunero,attiva nei Gruppi di Difesa della Donna e consigliera regionale del Centro Femminile Italiano, tenuto in Consiglio comunale nel corso della seduta solenne in occasione della Giornata internazionale della donna.
"Autorità, Consiglieri tutti,
ringrazio in modo particolare la Presidente del Consiglio Comunale di Bologna per il cortese invito ed è con vera grande commozione che io mi accingo a parlare di un periodo così importante e decisivo della nostra storia patria.

Essendo nata nel 1926, mi ritengo fortunata di essere stata testimone di quel periodo.
L'8 settembre del '43 mi trovavo con la mia famiglia sfollata a Settimo Torinese ad una ventina di chilometri da Torino, ospite del Parroco, poiché dal 1941 la nostra abitazione, più volte sinistrata a causa dei bombardamenti molto frequenti, essendo ubicata nell'area di grandi fabbriche, era inagibile.
Pertanto la data dell'8 settembre fu accolta con soddisfazione, pensando che finalmente ci era possibile tornare a casa senza più sentire sulle nostre teste quelle fortezze volanti seminatrici di distruzione e di tantissime morti.
Purtroppo il sorgere della Repubblica di Salò, l'invasione dei tedeschi ci prepararono terribili momenti.

Col poeta Montale sentivamo anche noi di esclamare:
'Come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull'erba dura di ghiaccio, al lamento
d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?'.

Durante questo periodo, molto triste, le donne non accettarono il fascismo e militarono in vari settori, ma la loro partecipazione fu soprattutto nei Gruppi di Difesa della Donna, l'organizzazione formata da donne di tutti i partiti, di tutte le categorie sociali, dalle casalinghe alle lavoratrici, alle contadine, alle insegnanti, alle laureate in medicina o in altri rami, alle intellettuali e di tutte le religioni comprese le atee.
I Gruppi di Difesa della Donna nati a Milano nel novembre del '43, si diffusero celermente per tutta l'Italia in mano tedesca con una meravigliosa e sorprendente organizzazione capillare clandestina, atta ad evitare il più possibile i rischi che erano veramente tantissimi e con conseguenze letali.
Tra le fondatrici di tali gruppi troviamo la giornalista democristiana Anna Rosa Girola Gallesio di Torino, che si era unita alle altre sorelle di partiti diversi; i gruppi in Piemonte contavano oltre 30.000 organizzate.
I 'Gruppi di Difesa della Donna' vennero ufficialmente riconosciuti dal Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia nel giugno del '44 come organismo ad esso aderente.
In tale occasione si definì la loro caratteristica organizzazione di massa e per l'assistenza ai combattenti.
Pertanto, occorrendo una base dei Gruppi, stabilite le rappresentanze dei partiti, fu costituito un Comitato Organizzativo Generale che doveva predisporre le comuni linee d'azione.
La città di Torino era divisa in 9 settori e ciascuno aveva delle responsabili che dovevano tenere i contatti con i “Gruppi di Difesa delle Donne” nelle fabbriche, nelle aziende, negli uffici, fare propaganda tra le donne e gli abitanti della zona, avvicinando le famiglie dei caduti, dei carcerati, dei deportati.
Si è detto che i Gruppi erano formati da donne di tutte le ideologie, di tutte le fedi.

Io vi ho appartenuto essendo socia della Gioventù Femminile di Azione Cattolica. Infatti le donne cattoliche, le giovani, scelsero la Resistenza come un dovere e la loro adesione ebbe una lunga preparazione nelle Associazioni parrocchiali, in particolare nell'Azione Cattolica.
Militando nelle Associazioni, avevano conosciuto il valore della democrazia e sofferto lungamente la perdita della libertà.
Quanti loro raduni erano stati vietati o bruscamente interrotti dalla polizia fascista!
Nonostante la stretta vigilanza di quest'ultima, il pericolo perciò, in caso di disubbidienza, di andare in prigione, essere mandati al confino, vedersi privare del lavoro, nell'Azione Cattolica non è mai venuto meno e sempre è stato seguito l'insegnamento della Dottrina Sociale della Chiesa, che è 'valorizzazione della dignità della persona umana, alla quale nulla di terreno può essere superiore né lo Stato, né il partito, né la razza'.
Inoltre nelle Associazioni parrocchiali i cattolici impararono la tecnica delle organizzazioni, che si dimostrò veramente preziosa nel periodo della lotta partigiana.

Da Roma il Santo Padre Pio XII, parlando ai laureati cattolici in quei giorni, aveva lanciato a tutti un severo monito: 'Non lamento, ma azione, è il precetto dell'ora!'.
E questo è stato il motto del giornale 'In Marcia', l'organo clandestino delle donne democristiane.
Ogni partito aveva un giornale o delle pubblicazioni specializzate per le donne.
Infatti la propaganda tra la gente si faceva con la parola sussurrata al momento opportuno nel negozio, sul mercato, in tram e con la distribuzione della stampa clandestina molto abbondante e frequente.
Il Papa richiamava i cattolici al loro compito: quello di non piangersi addosso, ma di agire con tutte le altre forze per il bene della Patria.

Le donne cattoliche aderirono dunque alla Resistenza con un bagaglio ideologico e pratico, e alla dittatura scelsero la libertà, imboccando una strada molto dura, coscienti, insieme agli uomini, che era loro precipuo dovere agire.
I militanti cattolici s'inserirono nelle file partigiane, si affiancarono alle donne nella lotta contro l'oppressore: nelle fabbriche, nelle aziende fecero parte dei Comitati di Liberazione Nazionale.

Mio marito, Franco Garena, dipendente del quotidiano torinese La Gazzetta del Popolo, aveva aderito al Comitato di Liberazione all'interno della redazione. Per la delazione di un'impiegata, venne imprigionato con tutti i componenti il Comitato nella Caserma Balbis di Torino dove avvenivano torture e massacri. Fu liberato, con i colleghi rimasti, nei giorni dell'insurrezione dai partigiani che, combattendo aspramente, conquistarono la caserma.
Appena libero, andò a salutare la mamma per dirle che era salvo e poi subito, con i suoi compagni di lotta, si recò in redazione della “Gazzetta del Popolo” per far uscire il primo giornale di Torino libera!

Le donne cattoliche diedero la loro preziosa collaborazione in mille modi.
Furono infaticabili staffette, si prodigarono come infermiere, come medici nel curare i feriti sulle colline, in montagna e nei giorni della insurrezione come assistenti prestarono aiuto alle famiglie dei condannati a morte, visitavano i carcerati vittime delle retate, parteciparono in massa agli scioperi nelle fabbriche.
La mia mamma, sigaraia alla Manifattura Tabacchi, prese parte a tutte le azioni per contrastare la produzione destinata ai Tedeschi!
Con la loro ferma condanna del nazifascismo, pur non predicando l'odio, le donne cattoliche furono ispiratrici di forza e coraggio.

Avevo detto poc'anzi che io mi trovavo con la mia famiglia sfollata a Settimo Torinese, dove certamente, anche se piccolo paese, non regnava di sicuro la pace.
Infatti continue scorribande di repubblichini che sparavano all'impazzata per sentirsi padroni della situazione e camionette tedesche, che s'infilavano tra le vie più strette, cercavano di mettere paura tra gli abitanti.
L'eroico Parroco della Chiesa di S.Pietro in Vincoli, Can.Luigi Paviolo, che ci ospitava, quanto si adoperò per salvare paesani già destinati quali ostaggi nella famigerata caserma di Via Asti, luogo tremendo di torture, le cui pareti erano tinteggiate di sangue sprizzato da uomini e donne che non avevano voluto svelare il nome dei loro compagni di lotta o dei capi partigiani.
Quanti ebrei si rifugiarono da noi in Parrocchia!
Tra i militari sbandati, dopo lo sfacelo dell'esercito italiano proprio all'8 settembre '43 c'era il nipote della mia madrina, che per timore di essere catturato con le armi, rischiando la fucilazione o la deportazione, ci aveva lasciato una rivoltella ed un pugnale.
All'ordine della Repubblica di Salò di consegnare le armi, noi disobbedimmo e per timore che, durante una perquisizione, in quel momento molto facile ad attuarsi, per rappresaglia i nazifascisti appiccassero il fuoco alla Casa Canonica e alla Chiesa, un mattino, quando ancora era buio, il babbo ed io in bicicletta raggiungemmo la frazione Mezzi Po con la nostra merce pericolosa. Scesi nel greto del fiume, io estrassi da sotto il mio cappotto le armi, che papà gettò nelle acque del Po, perchè non nuocessero più a nessuno.

Conseguito il Diploma Magistrale a Ferrere d'Asti, dove era sfollato l'Istituto S.Giuseppe, decisi con una mia compagna di studiare il greco per sostenere l'esame di maturità classica al Liceo “Gioberti” e iscrivermi poi all'Università.
Durante i miei frequenti viaggi a Torino per le lezioni di greco, conobbi i 'Gruppi di Difesa della Donna'.
Mi avvicinò la Sig.ra Emma Filippello, socia dell'Azione Cattolica della mia Parrocchia torinese di San Gioacchino, ed io accettai volentieri la sua proposta di far parte di questa organizzazione.
Così, e quando ero pendolare e quando alla fine del '44 ritornai con la famiglia in città, essendo l'alloggio sufficientemente abitabile con al posto dei vetri delle porte in legno compensato, continuai la mia attività presso il Gruppo.
Ci riunivamo in Parrocchia. Infatti i luoghi di raduno oltre alla Parrocchia, erano case private, sempre però cambiate o la sede dell'Azione Cattolica, un basso caseggiato in C.so Oporto, ora C.so Matteotti.
Quando a Torino si fece una statistica delle donne su cui la Resistenza poteva contare, le Associazioni cattoliche presentarono gli elenchi delle aderenti iscritte.
La sig.ra Teresa Filippi, allora presidente diocesana dell'Azione Cattolica lo fece in particolare. Proprio le Parrocchie divennero il centro per questi Gruppi per l'appartenenza ai quali si era effettuato un vero e proprio tesseramento: un'immagine con il volto di Cristo riprodotto su cui era stampigliato un numero progressivo.
Della mia Chiesa di S.Gioacchino, mia Parrocchia torinese, completamente sinistrata da tre bombardamenti, soprattutto quello del 13 luglio '43, che mise in ginocchio la città, erano rimasti i muri perimetrali. La navata centrale, ridotta ad un mucchio di macerie, aveva per volta il cielo. Anche l'oratorio aveva subito ingenti danni.
Un giorno, mentre passavamo in cortile, abbiamo visto spuntare tra lo sfasciume che lo ingombrava, l'asta di una bandiera, quella del gruppo di Azione Cattolica della Parrocchia. Tiratala fuori, leggemmo il motto: “Ignis ardens” (“Fiamma ardente”). Questa “ fiamma” ci scaldò il cuore, Dio era con noi e ci aiutava dandoci tanto coraggio nell'agire.
La nostra sede era la cappellina della Madonna o la stanza delle Figlie di Maria.
Parecchie le nostre mansioni, soprattutto la diffusione della stampa clandestina per preparare gli animi nell'imminenza delle giornate dell'insurrezione, perciò il nostro giornale “In Marcia”, volantini, manifesti che furtivamente lasciavo in tram, mettevo nelle buche delle lettere e ovunque mi capitava.
Il mio deposito di tale stampa pericolosa a casa era dietro un grosso ritratto della mia bisnonna in preghiera.

La collaborazione con le donne degli altri partiti si attuò dapprima sul piano della assistenza, raccolta di viveri, di indumenti specialmente di lana da mandare ai partigiani sparsi sulle montagne, aiuto alle loro famiglie.
L'invio dei pacchi ai prigionieri era diventata un'attività molto importante. Si studiarono anche nozioni di dietetica per scegliere e confezionare cibi che concentrassero nel minor volume possibile, il massimo delle calorie e di vitamine per farli giungere ai destinatari eludendo il più possibile la sorveglianza dei carcerieri.
Avevamo seguito anche un corso di primo soccorso tenuto dalle Suore di S.Vincenzo della Parrocchia.
Quanto le Suore di ogni ordine religioso hanno collaborato con tutte le altre donne negli Ospedali, negli Istituti, ovunque c'era un bisogno!
Proprio in questi ultimi giorni è mancata in un paesino del Trevigiano, dove era nata, Suor Luciana, al secolo Anna Goso, all'età di 101 anni.
'Con il candore di una bimba e il coraggio di un guerriero' salvò Borgone di Susa dalle rappresaglie e dalla distruzione del paese ponendosi per ben due volte davanti alle bocche di fuoco, pronte per lo sterminio.
Non possiamo dimenticare Suor Giuseppina delle carceri Le Nuove di Torino, che ci forniva il nome delle donne prigioniere, così era possibile dare notizie alle famiglie a cui si portavano aiuti di viveri ed anche in denaro.
Pure, attraverso l'eroico cappellano delle carceri, il francescano P. Ruggero Cipolla (di cui si vuole introdurre la causa di beatificazione) era possibile avere i nominativi dei prigionieri a cui si potevano recapitare viveri, perchè avendo essi la famiglia lontana, sarebbero certamente morti di fame.
Quanti religiosi, quanti sacerdoti furono intrepidi eroi della Resistenza fino all'estremo sacrificio della loro vita, offrendosi come ostaggi al posto di un giovane, di un padre di famiglia, chiedendo anche di morire trucidati al loro posto!

Ho rischiato alcune volte la vita sia a Settimo per le pallottole vaganti e sia a Torino nei giorni della insurrezione, mentre con la mia mamma percorrevo il centro della città alla ricerca di chi chiedeva aiuto sotto il tiro dei cecchini.
Desidero citare il nome di alcune madri coraggio che in questo secondo Risorgimento italiano hanno prestato la loro opera.
Per quanto riguarda la propaganda occorre ricordare la mamma del Cappellano della Sindone, Mons. Josè Cottino, internato in Germania, che, abitando in una mansarda di Palazzo Reale a Torino, occupato dai Tedeschi, con la sporta della spesa, smistava la stampa clandestina. Essa riusciva a far entrare e uscire i giornali sotto gli occhi degli stessi invasori.
Fra le donne a contatto dei partigiani dobbiamo menzionare Augusta Grosso in Val Chiusella, Ada Sibille in Val di Susa, Maria Tettamanzi in Val d'Ala, Anna Fanton in Val di Lanzo, Laura Bovetti nel Canavesano.
Molto attive nei “Gruppi di Difesa della Donna”: Piera Verretto, Clelia Guglielminetti, Edvige Cinato, sorella di una attuale socia del Centro Italiano Femminile di Torino.

Il Centro Italiano Femminile – C.I.F. - è un'associazione di donne di cui io faccio parte e di cui per nove anni sono stata Consigliera Nazionale.
Nasce proprio in questo periodo storico. Infatti nel '44 nel momento in cui l'Italia, prostrata dalla 2° guerra mondiale, necessita di una ricostruzione materiale e morale, sorgono movimenti femminili di vario tipo.
In particolare nasce l'UDI, così pure appaiono gruppi di femministe. Anche se già nel '44 esiste l'idea progettuale della Associazione C.I.F., l'atto costitutivo viene firmato il 4/3/1945.
I tempi sono ormai maturi perchè la donna prenda coscienza dei suoi diritti e doveri, anche in campo civile e politico.
“La vostra ora è suonata, donne e giovani cattoliche - dirà nel 1945 in una memorabile allocuzione Pio XII - la vita pubblica ha bisogno di voi, ad ognuna di voi si può dire: “Tua res agitur”.
Con la caduta del fascismo e il ritorno alla vita democratica la preparazione della donna alla presenza in politica è parsa di primaria importanza.
Per questo sorgono le Associazioni femminili, per questo vede la luce il Centro Italiano Femminile subito in forma federativa con il contributo di 26 associazioni. Solo nel 1970 ha modificato la sua struttura diventando movimento pur conservando intatte le sue caratteristiche fondamentali.
In Piemonte il C.I.F. sorge a Torino subito dopo le giornate insurrezionali di aprile '45 e subito, a macchia d'olio, si diffondono i comitati per tutta la regione pedemontana.
La maggior parte delle donne che si iscrissero al C.I.F. avevano dato il loro contributo di partecipazione attiva alla Resistenza.

Qualche anno fa il C.I.F. Provinciale di Torino ha voluto raccogliere le testimonianze di alcune aderenti che hanno agito con tanto dono di sé nei punti più caldi della lotta partigiana in Piemonte: Valle di Susa, Valle dell'Orco, la zona di Cavour-Villafranca.
Sono donne del popolo, ecco i loro nomi:
Olga Ferrato (nome partigiano “La Grisa”) che, con il marito, il comandante Bellero e i suoi tre figli, ha partecipato attivamente alla lotta partigiana, anche lei “ribelle”. A proposito di questo attributo, mi viene in mente l'ultimo capoverso della preghiera che il partigiano Teresio Olivelli , torturato e morto a Hersbuch, compose: “Dio della pace e degli eserciti, che porti la spada e la Gioia, ascolta la preghiera di noi ribelli per amore”.
Lina Bellando, titolare di un negozio di merceria, con il quale teneva contatti con i partigiani di Condove.
Giuseppina Bertoglio Bosio, infermiera diplomata dell'Ambulatorio Medico A.E.M.. Ha svolto la sua attività a Rosone (Valle dell'Orco). Oltre a curare i feriti, si occupava delle salme di uomini uccisi in montagna, cui dava pietosa sepoltura.
Felicita Boaglio, insegnante elementare a Barbano (frazione di Cavour), staffetta per il C.L.N. Di Cavour.
Isabella e Rina Rivoira, comproprietarie della cascina “La Morra” sulla strada provinciale di Villafranca-Cavour, ospitarono due medici ebrei e tutti coloro che richiedevano asilo.
Agnese Ghione, una domestica che collaborò con la figlia crocerossina del notaio Bollati di cui era a servizio, nella cura dei partigiani feriti.
Risentendo oggi la registrazione dei fatti e delle emozioni da loro vissute, ci sentiamo coinvolte da storie che vanno ben oltre i sentimenti.
I loro racconti diventano punto di riferimento per un colpo d'ala che risvegli le nostre coscienze, forse un po' assopite: ci sono orizzonti di solidarietà, di generosità con una punta di rischio che la Fede impone per essere veramente vissuta.
Le motivazioni che spingono queste e altre donne a sostenere con convinzione la lotta partigiana sono veramente nobili: senso di ribellione alla prepotenza nazifascista, amor di Patria, solidarietà cristiana verso giovani e meno che combattevano a rischio della propria vita perchè braccati dal nemico oppressore per un grande ideale.
Così si viveva allora, ma nell'inverno del terrore crescevano le pianticelle della primavera italica.
Resistere significava agire, e agire insieme donne di tutte le categorie, di tutti i partiti, di tutte le fedi: ecco che cosa ci hanno insegnato i “Gruppi di Difesa della Donna”.
Fu questa unità il miracolo della Resistenza, miracolo, come è stato detto, che mai potrà dimenticare chi ebbe la fortuna d'esserne comunque partecipe e di cui possiamo mai rassegnarci a veder impallidire, estinguersi la luce.
Torino è medaglia d'oro della Resistenza, ma tutto il Piemonte ha scritto col sangue un'epoca di gloria.
Quante eroine che nel silenzio hanno dato il meglio di sé e il cui nome è stato scritto solo sul libro di Dio, ma la cui opera preziosa è servita alla causa della Patria.

Mi permettano di terminare con le parole ammonitrici che Piero Calamandrei (insigne giurista, strenuo antifascista, protagonista della Resistenza fiorentina) direbbe oggi a noi, osservando quanto avviene nel nostro tempo: 'A 70 anni di distanza dalla Resistenza, in un esame di coscienza, possiamo domandarci: Questo è l'insegnamento che ci hanno dato in eredità quei morti? Lo abbiamo rispettato? Lo abbiamo tradito? No, amici, il compito degli uomini e delle donne della Resistenza non è finito. Bisogna che essa sia ancora in piedi. E' difficile determinare i suoi compiti, ma sentiamo tutti che c'è ancora da fare. Intanto c'è ancora da far conoscere che cosa la Resistenza fu...', perché, aggiungo io, i valori di libertà, giustizia, democrazia siano sempre più alla base della vita della nostra Italia e di ogni popolo civile”.
A voi, giovani, l'invito pressante a tradurre in realtà questo auspicio".
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