Bologna, 29/05/2015

CONSIGLIO COMUNALE IN RICORDO DI MAURIZIO CEVENINI, L'INTERVENTO DELL'ONOREVOLE PIER LUIGI BERSANI


    .
Di seguito, l'intervento dell'onorevole Pier Luigi Bersani, nel corso del Consiglio comunale in ricordo di Maurizio Cevenini nel terzo anniversario della sua scomparsa.

"Voglio anch'io, come ha fatto il senatore Casini, ringraziare la famiglia, il Sindaco, la Presidente e la Vicepresidente del Consiglio, ringraziarli di aver pensato anche a me per un ricordo di Maurizio, in questa sede solenne del Consiglio comunale, ne sono onorato e sono anche contento, perché è la prima volta che mi capita di poter parlare in tre anni di Cevenini e devo dire che ne avevo anche voglia.

Dico subito che il mio rapporto con Maurizio correva su due piani. Il primo piano era quello degli incontri occasionali, saltuari, ma inesorabili e frequenti, perché non c'era verso di partecipare a qualsiasi iniziativa a Bologna senza incontrare il sorriso di Cevenini e senza avere qualche scambio di battute con lui. Il secondo piano era quello di incontri più radi, meno frequenti, più riservati che avvenivano nei passaggi più delicati e più difficili, e ce ne sono stati, della vita politica e amministrativa di Bologna e dell'Emilia-Romagna. Lui voleva sentire la mia opinione, io volevo sentire la sua, diciamo che ci prendevamo sul serio, io parlo per me, lo prendevo molto sul serio.

Voglio partire da qui per le considerazioni che voglio fare. Mi hanno sempre irritato certe interpretazioni un po' folcloristiche del profilo di Cevenini e devo aggiungere che anche la chiave della leggerezza del Cev, della sua disponibilità, una chiave giusta, vera, sacrosanta, ma ho sempre pensato che non dicesse tutto, forse nemmeno l'essenziale di quel che è stato Maurizio. Sarei più per sottolineare che il lascito di Cevenini sta nella sostanza politica e civile del suo profilo, una sostanza che secondo me dobbiamo raccogliere nel tempo di oggi e trasmettere soprattutto a chi oggi vuole impegnarsi nell'amministrazione, nella politica.

Perché ci sono domande assolutamente attuali, moderne, a cui Cevenini ha dato la sua risposta e queste domande quali sono:
come si fa a essere popolari, senza cedere alla demagogia? Secondo: come si fa a essere protagonisti, a essere dei primi attori, tenendo mani, piedi, testa e cuore nel tuo collettivo? Terzo: come si fa ad essere speciali rimanendo normali? Come si fa ad essere percepiti come speciali proprio perché normali?
Io trovo che siano domande attualissime, modernissime e che attengano in modo sostanziale alla credibilità e all'efficacia della politica.

Lo abbiamo visto tutti Cevenini, lo ricordava Casini adesso, frequentare i luoghi consueti della vita dei cittadini, l'abbiamo sentito parlare il loro linguaggio, non l'abbiamo mai sentito accarezzare il pelo del senso comune dove il senso comune perde di vista il buon senso. Rivolgersi al senso comune, sì, parlare con linguaggio comune, sì, ma sempre riportando il filo del discorso alla dimensione del civismo e della civiltà politica. L'abbiamo visto, lo ricordava la Presidente, dopo i matrimoni portare gli sposi e gli invitati in questa sala e allestire una sorta di monologo spettacolare, divertente, veramente, ma non c'era mai una parola, una battuta che non trasmettesse la dignità di questo luogo, la sua storia, il suo senso. E quindi, in ogni cosa che faceva il Cev, se ci pensiamo, c'era sempre in modo implicito, magari subliminale, un po' di educazione civica. C'era sempre un po' di educazione civica. Su questo dobbiamo riflettere e far riflettere su cosa sia un politico popolare: non è quello che racconta le favole e suona il piffero per portare il popolo chissà dove. Il politico popolare è quello che si sente cittadino in mezzo ai cittadini, consapevoli, responsabili, che ragionano con la loro testa e la loro dignità, che quando è ora di prendere il comando prende anche il comando, però insieme a loro, sulla strada di creare una convivenza migliore, perché alla fine la politica che senso ha: fare gli uomini un po' più umani. Punto.

Credo che questo non sia solo filosofia, è una cosa concreta, pretende dei comportamenti e io dico della mia esperienza. Ho amministrato tanti anni, e naturalmente con una qualche mia convinzione di come si fa ad amministrare, e mi ha fatto impressione che una delle mie convinzioni tra le più rilevanti, leggendo il libro che meritevolmente avete fatto raccogliendo gli interventi in Consiglio comunale di Maurizio Cevenini, me lo trovo detto come meglio non si potrebbe dire, con la sua semplicità, quando dice in questo Consiglio comunale, in una frase: 'Meglio fare una promessa in meno e far trovare una sorpresa positiva in più ai cittadini'. Caspita. In una frase così semplice, per me, c'è il senso della credibilità della politica e dell'amministrazione e ci sarebbe la chiave vera della comunicazione: prima i fatti delle parole, prima i fatti delle promesse. Questa sì sarebbe la comunicazione, tutte le altre comunicazioni durano molto meno, sono illusorie. Quindi, si può comunicare senza imbrogliare, si può essere popolari senza essere demagogici. E si può essere protagonisti, primi attori, essendo leali verso il tuo collettivo, anche questo ci lascia il Cev. Perché il tuo primo collettivo qual è, è la tua comunità, non è il tuo partito, è la tua città, la tua comunità - non ho bisogno di ricordare, lo faceva prima Pier, quanto fosse bolognese il Cev, nel profondo -, magari io vi posso dire come si possono vedere i bolognesi da fuori, spero di poterlo dire perché avendo scarpinato, innamorato di questa regione, da Piacenza a Rimini per sedici anni, che non sopporto quelli che pensano 'che gli emiliano - romagnoli'. Intanto sono molto diversi, cominciamo a distinguere e per esempio una caratteristica che mi ha sempre fatto impressione dei bolognesi è che credo che sia l'unica razza, non solo in Emilia ma anche in Italia, che se trovi un bolognese e ti metti a discutere, perché ci devi discutere, però è l'unica persona che alla fine di una bella discussione può perfino cambiare la sua idea di partenza. Questa apertura mentale, questo gusto della discussione, questo atteggiamento, comprensivo, non settario, e in questo il Cev è il più bolognese di tutti, è il prototipo del bolognese.

Dentro a questo grande collettivo poi c'era anche l'appartenenza, il collettivo della sua squadra, del suo schieramento e del suo partito e non c'è contraddizione: i partiti sono uno strumento che deve funzionare per fare stare meglio la collettività secondo il tuo cantiere di idee. Però il collettivo per essere utile deve avere una squadra che funziona, deve avere una sua disciplina, una sua logica. In quegli anni non mancarono dei passaggi molto delicati, molto drammatici, molto difficili anche.
Io posso essere testimone, anche per i compiti di direzione che ho avuto in quegli anni, del fatto che in ore anche tumultuose, difficili, drammatiche, non ho mai visto il Cev sbagliare una dichiarazione, anche all'impronta, perché aveva una istintiva capacità di prendere il punto di leva, come nei pittori del '400 il punto focale della prospettiva: la dichiarazione che potesse tenere assieme il suo collettivo. E su questo potevi sempre contarci e per farlo non basta il cuore che aveva, ci vuole anche la testa. Per avere questa logica di squadra ci vuole il cuore e ci vuole anche la testa e lui aveva anche la testa. Questa è una risorsa enorme per la politica, per la collettività, perché adesso ci raccontano, spesso e volentieri, che lo sforzo di tenere insieme è conformismo, è passatismo, se non addirittura stupidità. Tenere assieme sa di grigio, ma era grigio Cevenini? No. Oggi sono tempi in cui c'è anche gente che pensa di potere affermarsi prendendo a calci la sua squadra, pensando di salvarsi da solo, arrampicandosi sulle spalle degli altri. No, la politica, quella vera, alla lunga ha un suo codice, il codice ineliminabile della politica è una graduatoria: prima la tua comunità, seconda la tua squadra, terzo il tuo destino personale. La politica vera è fatta così, in quella gerarchia lì, e quindi io credo che Cevenini ci lasci anche questo messaggio.

Infine, una figura così speciale perché così normale. Credo che tutti abbiamo capito perché lui avesse questi straordinari successi elettorali, non sbagliava mai, Maurizio, in ogni occasione elettorale. Perché dava una sensazione di vicinanza ai cittadini, che riusciva ad essere più forte delle barriere ideologiche e politiche; una sensazione di vicinanza, attenzione, ben fondata, perché adesso non faccio anch'io l'elenco di tutti i luoghi praticati da Cevenini nella vita comune e nella città dei cittadini. Però, bisogna che ce lo diciamo e lo diciamo a chi vuole fare politica e amministrazione: un conto è far vedere che ci sei, un conto è esserci sul serio. Questo i cittadini lo percepiscono e lo riconoscono, lo capiscono. E intanto, se però ci sei sul serio, qualcosa ci guadagni anche tu, ti fai la tua formazione professionale, in termini di conoscenza della realtà, in termini di linguaggio e anche in termini di poter accumulare quelle pillole di saggezza che vengono sempre dalle radici popolari, dal parlare con la gente. Io credo che il Cev sia diventato così, speciale. Poi non voglio dire che sia la sola ricetta, ci possono essere politici e amministratori che hanno altri modi di essere speciali. Ma dico che uno che ha in testa, certo nelle forme nuove, di essere in una squadra progressista, riformista, che sostanzialmente continua ad avere a cuore il grande tema dell'uguaglianza e dell'uguale dignità delle persone, può essere speciale solo così, solo essendo normale. Altri tipi di specialità comportano altri valori, altri schemi logici. Anche questo ci dice il Cev.

L'ultima cosa da dire è quella forse un po' più amara. Essere popolari senza demagogia, essere protagonisti e primi attori essendo di squadra, essere speciali rimanendo normali, a noi sono sembrati dei tratti naturali in Maurizio, i tratti umani e politici gestiti con facilità e leggerezza, d'altronde così amava presentarsi lui che sorrideva sempre. Forse c'era invece i tutto questo una fatica, una tensione, un dover essere carico anche di fatica e di tensione. Forse è questo che non abbiamo visto e forse per questo, pensando a lui anche dopo anni, sentiamo come un senso di colpa che non sappiamo da dove venga. Forse è questo.
Cosa resta da dire: un grande abbraccio, ancora, ai famigliari e inchiniamoci a questa istituzione che ci ospita, rispettiamola come lui l'ha sempre rispettata".
      .