Bologna, 10/02/2014
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"Signor Sindaco, Signori Consiglieri, Signore Consigliere, Autorità civili e militari, gentili ospiti, care studentesse, cari studenti, Il Consiglio comunale di Bologna è riunito stamane per celebrare la Giornata del Ricordo e, come ogni anno, mi preme richiamare integralmente il primo articolo della legge 92 del 2004: “La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del Ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati del secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.” Vorrei partire da qui e ricordare in primo luogo le vittime: diverse migliaia di persone (tra le 4000 e le 6000 principalmente italiane) che per motivi etnici e o politici persero la vita tra il 1943 e il 1946. Di questi eccidi le foibe sono il simbolo più noto e più grave. Desidero quindi rivolgere in primo luogo quindi ai componenti dell'Associazione Venezia Giulia e Dalmazia, rappresentati dal loro Presidente Segnan, a cui a breve darò la parola, il nostro saluto più caro. A loro, che sono stati i 'primi custodi' di quelle dolorose vicende, quando di questi temi poco si riusciva a parlare, va il nostro primo saluto e il rinnovato impegno a ricordare, in questo giorno, anche con questa cerimonia, quei fatti, insieme con il dolore, loro e dei loro cari. Si tratta, come è stato ricordato in qui nel 2009, proprio da questo banco, di vittime per due volte: di una grande tragedia originaria e poi dell'oblio di quella tragedia, ma anche dell'essere stati condannati incolpevoli a svolgere un ruolo politico che non loro certo avevano cercato. Bologna, come è noto, nel 1947 non accolse con favore il treno che portava 700 esuli istriani, fiumani e dalmati in cerca di salvezza in altre zone d'Italia. Ma i cittadini bolognesi seppero poi rapidamente cambiare atteggiamento e accogliere gli esuli, molti dei quali hanno poi scelto Bologna per viverci, loro e i loro cari. Quello della vicinanza, della comprensione, della memoria condivisa e' ciò che ha motivato anche le nostre azioni negli ultimi anni. L'anno scorso abbiamo apposto un “sasso d'Istria” (ritrovato quasi casualmente da Maurizio Cevenini) negli anni precedenti nel Quartiere San Donato. Si trattava della lapide posta all'ingresso di quello che un tempo era il Villaggio Giuliano a Bologna Sempre l'anno scorso, abbiamo, lo ha bene ricordato la Vice Presidente Scarano, inviato a tutte le scuole bolognesi un DVD intitolato “Esodo”, fatto in collaborazione con l'Associazione Venezia Giulia Dalmazia, affinché, a partire dalle scuole, fosse meglio insegnata, spiegata e raccontata quella complessa vicenda. E quindi saluto con molto affetto gli studenti dell'istituto Archimede e dell'Istituto Belluzzi che sono presenti alla cerimonia di stamane. Ci siamo assicurati che l'Associazione avesse una nuova sede per proseguire l'insieme delle attività promosse in questi anni e continuare un dialogo costante con l'amministrazione comunale. Mi scuso se ho preso un po' di tempo per raccontare queste che sembrano essere solo attività pratiche ma quello che intendo affermare è che e' nostra convinzione, nostra del Consiglio comunale e dell'amministrazione tutta, non ridurre queste celebrazioni ad iniziative che si svolgono solo in occasione del 10 di febbraio, ma seguirle, costantemente, lungo il corso dell'anno. Esiste infatti sempre un rischio in questo genere di celebrazioni e cioè quello di ridurle ad un mero ricordo, senza proseguire in un compito che è proprio della politica: quello di trarre insegnamento da quei fatti ed esplicitarli, quegli insegnamenti, anche nelle nostre scelte amministrative oltre che ovviamente nei nostri gesti quotidiani. Per questa ragione ho chiesto al professo Raoul Pupo, che ringrazio molto per aver accettato il nostro invito ad intervenire oggi, di proporci oltre che una riflessione su quei fatti, una prima riflessione sui limiti e sulle opportunità di questi primi 10 anni di celebrazione della Giornata del Ricordo. La nostra opinione e' che non basta esclusivamente la memoria di quei fenomeni luttuosi o dolorosi. Ma a partire da quelli la politica ha un compito: quello di trovare valori comuni per costruire quella che altri hanno chiamato una sorta 'religione civile' e cioè un nucleo di valori condivisi in cui gli individui si riconoscono. Non voglio entrare nel merito di un ampio dibattito, che si e' svolto di recente anche relativamente alla Giornata della Memoria, secondo cui, per alcuni sta qui il vero fallimento della politica degli ultimi 20 anni: cioè di non essere riuscita ad costruire valori condivisi. Mi pare pero' doveroso oggi, pensando a questa giornata, sui valori che riusciamo a fare nostri ricordando le Foibe, l'esodo e la più complessa vicenda del confine orientale. Proprio di recente Habermas ha proposto a noi tutti una riflessione che vorrei qui richiamare: “Per una democrazia sovranazionale ancorata agli Stati nazionali, non serve un popolo europeo bensì individui che abbiano imparato a essere contemporaneamente sia cittadini d’uno Stato sia cittadini europei”. I fatti che noi ricordiamo oggi hanno molto a che fare con queste questioni. Tra il 1944 e la fine degli anni Cinquanta, alla frontiera orientale d'Italia tra le 270 e le 350.000 persone, nella grande maggioranza italiani, dovettero abbandonare quelle città e quelle terre in cui a lungo loro e le loro famiglie avevano abitato, vale a dire le città di Zara e di Fiume, le isole del Quarnaro - Cherso e Lussino - e la penisola istriana, passate sotto il controllo Jugoslavo. Se ci limitiamo ai numeri, le cifre non danno l'idea della tragedia che si è consumata. Se guardiamo ai fatti che oggi ricordiamo, dal punto di vista del nostro Paese, quella può apparire una vicenda marginale, di confine, periferica. Ma se si assume un approccio più vasto, come ci invitano più recentemente gli storici a fare e cioè a partire dal 1866 (l'anno in cui l'Italia ottiene il Veneto e si trova per la prima volta sulla soglia dei suoi due irredentismi nord orientali), o se si fa riferimento all'esodo nella più ampia storia istriana oppure, come ci invitava a fare il Professor Pupo ne 'Il lungo esodo', ad evidenziando la scomparsa della componente nazionale italiana nei territori passati alla Iugoslavia, cosa mai accaduta prima, ne' sotto l'impero Austriaco, ne' dopo la prima guerra mondiale, allora quegli eventi ci appaiono in una dimensione completamente diversa. L'attenzione si sposta quindi sulle conseguenze della costruzione degli stati nazionali e a quanto questo non lasciasse spazio, come noi invece abbiamo imparato a fare, al valore delle minoranze, delle differenze tra singole comunità. Non è mia intenzione ripercorrere quei fatti, su cui rimarrà più a lungo il professor Pupo. L'invito, come sempre, a conclusione di questo breve saluto, e' quello, ad ognuno, di fare la propria parte. Quindi anche un Consiglio comunale, anche una città, come Bologna, ha il dovere di avere memoria di quei fatti e di sapere dare loro oggi un nuovo significato".
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