Bologna, 25/01/2016
|
"Signor Sindaco di Bologna, Virginio Merola, Signora Presidente del Consiglio Comunale, Simona Lembi, Membri del Consiglio Comunale, Autorità civili religiose e militari, Rappresentanti dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e della Comunità Ebraica di Bologna, Illustri ospiti, Cari studenti e amici tutti, sono grato al Comune di Bologna per questo invito in occasione del Giorno Internazionale della Memoria in ricordo delle persecuzioni e dello sterminio del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti. Sono onorato di portare in questa occasione una prospettiva che viene da Gerusalemme, la capitale di quello Stato di Israele che più di ogni altro al mondo è sensibile a questa commemorazione che è impressa in modo indelebile nella sua storia e nella sua società. E la cittadinanza di Bologna, città martire del terrorismo, può forse meglio di ogni altra comprendere il significato profondo del monumento che verrà posto fra due giorni in occasione del Giorno della Memoria. Il senso di angoscia che genera il passaggio tra le due pareti del monumento induce a una riflessione sulle vicende e sofferenze del passato. Una memoria personale Permettetemi di iniziare questa riflessione con la memoria di un piccolo gruppo di uomini e di donne che hanno salvato la vita di molti ebrei – compresa la vita dei miei genitori e la mia. La scena è a Firenze, fine novembre 1943, sotto l'occupazione tedesca, e la voce del narratore è il diario di mio padre, Massimo Della Pergola. "Avevamo trovato rifugio nel manicomio di Castelpulci, un grande e antico edificio poco fuori Firenze, dove il coraggioso direttore sanitario ci aveva accolti e camuffati da pazienti. Ma con l'improvvisa occupazione dell'ospedale da parte dei militari nazisti, era impellente fuggire. Un taxi portò me (mio padre), Adelina (mia madre) e il nostro bimbo di un anno (io) dal nostro nascondiglio a una piccola pensione sull Lungarno dove già eravamo stati nascosti per un po'. Non avevamo altra scelta. La proprietaria della pensione, nel vederci, si mise le mani nei capelli e mi disse: "Voi ancora qui?" Dette un'occhiata al bambino e aggiunse: "Vi posso tenere per una o al massimo due notti, ma non di più". Passammo quella notte disperatamente svegli, ascoltando il rumore dei camion tedeschi che si fermavano ad arrestare gli ebrei sul Lungarno, per poi subito convogliarli verso Auschwitz. Il giorno seguente avvenne una specie di miracolo, quasi inverosimile. Una signora fiorentina, la Professoressa Livia Sàrcoli, cattolica molto osservante, aveva ascoltato in chiesa alla messa delle sei del mattino la predica dell'Arcivescovo di Firenze, il Cardinale Elia Dalla Costa. Questa coraggiosa personalità dotata di grandi valori spirituali e umani, aveva lanciato un appello ai fedeli: "In questi momenti ci sono delle persone che soffrono e si trovano in grave pericolo. Sono nostri fratelli. Cercate di aiutarli". Alludeva naturalmente agli ebrei. La signora Sàrcoli era anziana, devota, e insegnava letteratura in un istituto di suore. Dopo la messa si recò a trovare la proprietaria della pensione che era sua amica, e le raccontò d'essere rimasta molto impressionata dalle parole del Cardinale. "Ma io", aggiunse, "non conosco nessun ebreo". E l'amica, senza esitazione, le rispose: "Ti manda la Divina Provvidenza. Ho qui in casa una giovane coppia di ebrei. Mi fanno molta pena e hanno un bambino di un anno. Cerca di aiutarli". Ci chiamò per presentarci alla signora Sarcoli e lei ci disse d'andare a stare a casa sua, e aggiunse: "Io me ne andrò al convento dove insegno. Rimarrete soli a custodirmi la casa, ma mi raccomando di non parlare con nessuno, non fate alcun rumore, non aprite mai la porta e le finestre, e non rispondete al telefono". Ci trasferimmo nel suo appartamento al pianterreno di Via della Colonna. L'appartamento era vasto e ben arredato. A noi pareva splendido e sicuro. Purtroppo non avremmo più rivisto la nostra salvatrice. Alcuni giorni prima di morire nel 1945, aveva chiesto ai suoi parenti che l'assistevano: "Ma chissà se quei cari giovani si sono salvati". Quello che Livia Sarcoli non sapeva era che grazie al suo provvidenziale rifugio potemmo stabilire un contatto con la resistenza italiana e con i servizi alleati che operavano segretamente nella Chiesa Evangelica Valdese guidata dal Pastore Tullio Vinay. Una coraggiosa partigiana valdese, Gina Sabatini Silvestri, ci aiutò a trovare la strada che da Firenze, passando per Milano e il Lago Maggiore, raggiungeva il confine con la Svizzera. Superammo dammaticamente a piedi il confine, e fu la nostra salvezza. Era la notte di Natale del 1943". Il Cardinale Elia Angelo Dalla Costa, il Pastore valdese Tullio Vinay, la Professoressa Livia Sarcoli e la partigiana Gina Sabatini Silvestri sono stati tutti riconosciuti come Giusti delle Nazioni da Yad Vashem. È mio privilegio ricordare qui anche i valorosi che hanno operato nella regione Emilia e sono stati riconosciuti come Giusti delle Nazioni negli ultimi 5 anni: Don Michele Montanari, Alfonso Mucciarini, Luigi e Maria Succi, Giovanni, Denilia, Maria e Cristina Casolari, Maria Romani, Francesca Serafini, Francesco Labadini, Don Ubaldo Magistrali, Maria, Severino e Celestina Cordani, Guido Croci. 16 Giusti che hanno salvato la vita di 32 persone. A volte una parola o un gesto sono sufficienti per salvare una vita. Ma è essenziale che quella parola venga pronunciata, e che quel gesto venga compiuto, e purtroppo la storia ci dice che non tutti quelli che avrebbero potuto farlo pronunciarono quella parola e fecero quel gesto. I Giusti tra le Nazioni Vorrei allora allargare la nostra riflessione sui Giusti tra le Nazioni, del cui Comitato ho l'onore di essere membro. Il criterio stabilito dallo Stato di Israele per il riconoscimento dei Giusti tra le Nazioni è meglio reso da un principio cardinale della tradizione ebraica espresso nel seguente passo della Mishnàh (Trattato Sinedrio): כל המציל נפש אחת כאילו הציל עולם מלא (משנה, סנהדרין ד, ה) "Chi salva una vita, viene considerato come se avesse salvato un intero mondo". Nel definire il programma dei Giusti tra le Nazioni, lo Stato di Israele, a nome del popolo ebraico, conferiva al Memoriale dell'Olocausto e dell'Eroismo Yad Vashem il compito di documentare, preservare e celebrare gli atti di coloro che hanno rischiato la propria vita per salvare gli ebrei. Iniziava così uno sforzo unico in cui le vittime sopravvissute di un crimine senza precedenti, non commèmorano solamente coloro che sono morti, ma anche quelli tra le nazioni che hanno protetto gli ebrei dalla morte e dalla deportazione, distinguendosi al di sopra di tanti autori del crimine, tanti collaboratori, e tanti spettatori indifferenti. I sopravvissuti della Shoah erano, e sono tuttora, la forza motrice dietro questi sforzi di riconoscimento e di espressione di gratitudine. Pur avendo vissuto il male assoluto, la terribile perdita dei propri cari e il tradimento da parte dei loro vicini e della società in mezzo alla quale vivevano, i salvati non hanno mai dimenticato i loro benefattori. Il programma dei Giusti è dunque anche espressione di una affermazione della vita da parte dei sopravvissuti, del loro spirito coraggioso e della loro fede nel genere umano. In un certo senso, il riconoscimento di una persona come Giusto è simile a un processo di beatificazione religiosa. Si tratta a dire il vero di una procedura laica, condotta da esperti coscienziosi e competenti, presieduti dal giudice emerito della Corte Suprema israeliana Yaakov Tirkel, ma la procedura segue regole ben precise che possono ricordare in un certo senso la pratica sacrale. Le regole, applicate in modo imparziale e con attenzione, sono: (1) che la persona in questione deve essere state chiaramente identificata; (2) che la persona ha effettivamente operato per salvare la vita di uno o più ebrei; (3) che il fatto è chiaramente documentato attraverso più di una testimonianza; (4) che l'azione di salvataggio non è avvenuta in cambio di un risarcimento significativo, o di altro vantaggio diretto e personale per il salvatore; (5) che la persona ha effettivamente messo la sua vita in pericolo per salvare la vita degli altri; e (6) che il salvatore non ha compiuto altri atti che possano avere causato danno ad altre persone appartenenti al popolo ebraico. Fino a oggi circa 25.000 Giusti sono stati riconosciuti e onorati con un attestato che consiste in un diploma, una medaglia, e l'iscrizione permanente sul muro dei Giusti a Gerusalemme. Uno dei grandi dilemmi e misteri umani consiste nella valutazione di chi siano i Giusti: che cosa li caratterizzi e li distingua dalle altre persone. Ci possiamo chiedere se sia possibile scoprire alcuni tratti comuni che ci aiutino a creare una tipologia che potrebbe permetterci di prevedere se, in condizioni di costrizione, una persona sia destinata ad aiutare e salvare altre vite umane, oppure no – se sia un Giusto oppure no. La mia esperienza accumulata in questi anni come membro del Comitato di Yad Vashem, e le centinaia di casi che ho esaminato personalmente, rivelano in primo luogo che l'essere un Giusto non è associato al censo, al livello d'istruzione o alla classe sociale. Abbiamo casi di persone ricche e di persone povere, di personaggi della cultura e di semplici o quasi analfabeti, di contadini in località rurali inaccessibili e di residenti dei quartieri centrali delle grandi città. Né l'essere un Giusto sembra legato alla fede religiosa: abbiamo molti uomini e donne di chiesa, che agiscono per un afflato di fede cristiana, cosí come ne abbiamo altri, atei o agnostici, che agiscono al di fuori di qualsiasi premessa religiosa. E l'essere un Giusto non è neppure legato alla convinzione politica: naturalmente la maggior parte dei Giusti sono stati antifascisti e in vari modi vicini alla lotta per la libertà e la liberazione, ma non pochi altri sono stati membri delle istituzioni di quell'infausto regime, o convinti seguaci di quel funesto partito, influenzati come molti altri dalle triste teoríe antisemite ma che al momento decisivo hanno trovato la forza di andare contro corrente. Il mistero dei Giusti sembra allora ridursi alla variabilità di fondo della natura umana: il bene e il male esistono e convivono, e ogni individuo – trovandosi di fronte alla decisione cruciale – sceglie di fare la sua scelta in base a ciò che la sua coscienza personale gli detta. Ci fu, e furono molti, chi scelse il male, e ci furono i Giusti che spesso al prezzo della loro propria vita seppero e vollero scegliere il bene. L'inquietante contesto contemporaneo Per noi che abbiamo il privilegio di essere qui per ricordare e raccontare, il Giorno Internazionale della Memoria è l'occasione naturale che ci permette di trasmettere un messaggio di gratitudine ai salvatori, nonché un messaggio di avvertimento contro coloro che non solo ostentatamente mostrano di non aver capito, ma consapevolmente continuano sullo stesso percorso di odio, di distruzione e di annientamento. Sentimenti feroci di odio e di violenza simili a quelli di un tempo sono oggi ancora presenti e in realtà in rapida crescita nelle società contemporanee. Dal mio lavoro di ricerca posso testimoniare che l'indagine svolta in questi ultimi anni per iniziativa dell'Agenzia per i Diritti Fondamentali dell'Unione Europea fra le comunità ebraiche in nove paesi fra cui l'Italia indica chiaramente un netto e costante incremento nelle manifestazioni di antisemitismo, di razzismo, di xenofobia e di intolleranza religiosa. La comunità ebraica, ricordiamocelo bene, ha svolto in passato e svolge ancora oggi un ruolo di cartina di tornasole della tolleranza nella società civile, ed è un sensibile sismografo delle tendenze in corso. Nella polemica velenosa e insinuante a tutto campo, spesso non è affatto chiara la distinzione fra l'odio per gli ebrei e l'odio per lo stato d'Israele. Né è chiaro se nella critica allo stato israeliano, che è pur sempre legittima, la causa di tutti i mali venga individuata in un certo primo ministro o nella stessa esistenza dello stato ebraico. Di fronte sia all’accumulazione di tanti veleni antisemiti e antiisraeliani, merita particolare attenzione l’alta e ferma voce chiarificatrice per tutti giunta dal Presidente della Repubblica Emerito Giorgio Napolitano che, in occasione del Giorno della Memoria, il 25 gennaio 2007, dichiarò: "Dobbiamo combattere ogni rigurgito di antisemitismo, anche quando esso si travesta da antisionismo, perché antisionismo significa negazione della fonte ispiratrice dello Stato ebraico, delle ragioni della sua nascita ieri e della sua sicurezza oggi, al di là dei governi che si alternano nella guida di Israele". E il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con un atto simbolico di alto profilo, immediatamente dopo la sua elezione alla massima carica si recò in forma privata al sacrario delle Fosse Ardeatine dove furono uccisi insieme ebrei e non ebrei in uno dei più atroci crimini dell'occupazione nazifascista in Italia. Gli eventi degli ultimi anni dimostrano tragicamente che l'odio e la criminale azione distruttiva dei fondamentalisti continuano ad operare contro gli ebrei, ma anche e in termini numerici maggiori, contro le comunità cristiane in Medio Oriente, e poi in misura sfrenata contro le stesse comunità islamiche nelle loro diverse denominazioni. L'odio opera anche nei confronti del più ampio sistema delle democrazie occidentali, rappresentato dalle sue istituzioni di diritto e di sicurezza, ma non meno da una lunga tradizione di libertà di espressione e di tolleranza di opinioni diverse espresse attraverso i mezzi di comunicazione. La rete internet è oggi gravemente inquinata da messaggi che contraddicono le regole più elementari della civile convivenza umana. Oggi, più che mai, è necessaria la massima vigilanza e responsabilità. Le minacce di distruzione di Israele che è oggi la patria di sei milioni e mezzo di ebrei ed è la maggiore comunità ebraica nel mondo continuano in particolare da parte dei responsabili dello stato iraniano e dei loro sostenitori. Ancora poche settimane fa il leader supremo di un paese che ha per ora rallentato ma non soppresso i suoi ambiziosi piani di armamento nucleare, Ayatollah Khamanay, ha dichiarato che "fra 25 anni lo stato d'Israele non esisterà più". La politica dell'Iran da una parte appoggia apertamente il terrorismo ed il radicalismo islamico, e d’altra parte continua ostentatamente a negare l’Olocausto e a minacciare lo stato ebraico. Ma queste posizioni non sembrano sufficienti a creare un deterrente di fronte al desiderio dei paesi occidentali di abrogare le sanzioni e di riprendere normali relazioni commerciali con l'Iran. Queste scelte ci rammentano quanto vizioso sia stato l'atteggiamento di coloro che pur non essendo i diretti perpetratori, con la loro indifferenza hanno svolto un ruolo non secondario nelle conseguenze della grande tragedia. Il monito imperativo della memoria Proviamo allora a pensare per un attimo a che cosa succederebe se l'Iran attuasse realmente i suoi allucinanti e più volte espliciti propositi di distruzione. Dopo il giorno dellastrage, dovremmo poi dichiarare un Secondo Giorno della Memoria? Uno, dieci, cento Giorni della Memoria? Queste meste, forse sarcastiche considerazioni riflettono il senso di assedio che oggi prova una parte notevole delle comunità ebraiche nel mondo, inclusa quella che vive in Italia. Nel 2015, è emigrato in Israele dall’Italia il numero più alto di persone a partire dal 1950. Il numero di emigranti ebrei dalla Francia ha raggiunto livelli sena precedenti. Questa emigrazione da paesi Europei, democratici, dove le comunità ebraiche vantano profonde radici e luninose tradizioni in parte riflette necessità economiche personali o familiari, ma certamente in grande misura rivela un malessere diffuso di fronte al serpeggiare dell'odio e della violenza. Di fronte a questa grave erosione noi ci aspettiamo la voce e l'opera responsabile, chiara e inequivocabile delle persone oneste e delle istituzioni democratiche. Nelle parole di Stefania Giannini, Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca alla Sinagoga di Tempel, a Cracovia, lo scorso 18 gennaio, "La Memoria rende vigili e pronti a difendere la dignità umana. È fondamentale ricordare l’importanza dei valori fondanti della libertà e dell’uguaglianza, che ci tengono uniti in un perimetro in cui tutti ci riconosciamo. Per fare sì che l’Europa e l’Italia di domani siano luogo di pace, diritti e libertà, un luogo in cui la scuola ha schiena dritta e sa difendere i propri valori". A queste sagge parole consentitemi di aggiungerne un'altra importantissima che è: autocritica. Questo vocabolo oggi sembra scomparso dal lessico della politica ed è soprattutto completamente assente dal discorso dei movimenti fondamentalisti in Medio Oriente ma anche in Europa. In Israele, vi posso assicurare, siamo ben consapevoli della necessità di essere critici di noi stessi, come dimostra il vivace dibattito interno sui nostri stessi comportamenti, che vengono attentamente monitorati non solamente nel mondo ma primariamente da noi stessi. Speriamo che cosí sia anche per tutti gli altri. Riuniti qui in occasione del Giorno della Memoria, noi confidiamo e siamo fiduciosi che il nobile messaggio dell'eroismo e dell'abnegazione, del ricordo, della solidarietà, e della gratitudine, e allo stesso tempo della libertà, dell'uguaglianza e della dignità umana sarà trasmesso ai giovani di oggi e a tutto il genere umano per le generazioni avvenire. Vi ringrazio".
|