Bologna, 29/05/2015

CONSIGLIO COMUNALE IN RICORDO DI MAURIZIO CEVENINI, L'INTERVENTO DEL SINDACO VIRGINIO MEROLA


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Di seguito l'intervento del Sindaco Virginio Merola in ricordo di Maurizio Cevenini nel terzo anniversario della sua scomparsa.

"Vorrei sottolineare cosa Cevenini non era, fare una specie di controcampo. Ci ha lasciato molto da pensare, forse è arrivato il momento di lasciarlo un po' in pace e di pensare noi a quello che ci ha lasciato per cercare di metterlo in pratica. Mi viene da ricordare con allegria, come il Cev mi presentava quando decise di non candidarsi Sindaco. Era molto semplice, una semplicità difficile a farsi, non dico che era meditata ma faceva parte della cultura di un uomo davvero colto. Andavamo al centro sociale anziani e Cevenini diceva: "Scusate, mi sono ammalato, volevo fare il Sindaco, non lo posso più fare però ho portato con me il mio sostituto...". Io non me la sono mai presa per questa cosa, era talmente evidente come spiegazione in poche parole di quello che era avvenuto che non dovevo irrobustire il tutto con chissà quali teorie.

Maurizio non era Zelig, non era il personaggio del film di Woody Allen per cui a seconda dell'interlocutore a poco a poco assomigliava a lui fino a prenderne le sembianze. Non stava in mezzo alla gente in questo modo. Non assecondava tutto quello che può dire la gente anzi, in alcune conversazioni private con lui mi faceva notare - commentando alcune riunioni di partito, e riportando la sua esperienza continua di confronto fra le persone - se avevamo davvero il polso di quello che pensava la gente, di cosa volesse dire continuare ad essere una città di sinistra in un momento di cambiamenti epocali rispetto a quello che si sentiva dire dai cittadini, dalle loro paure, dal pericolo di una certa idea di Bologna che storicamente è sempre stata aperta al mondo per il suo modo di essere e lui riscontrava invece fra la gente una tendenza pericolosa che se assecondata poteva portare alla chiusura e anche ad essere conservatori di sinistra nel senso di parlarsi addosso come bolognesi evitando di affrontare quello che stava avvenendo da fuori.

Sicuramente Maurizio era popolare ma nel senso, come ricordato da Casini e Bersani, che era colto. Perché interpretava il sentimento del bene comune e studiava, non si accontentava di fare le battute anzi, le battute gli venivano meglio per questo. Sì è vero, ha creduto molto nell'idea del collettivo ma quel collettivo lui non lo interpretava come il fatto di dovere rinunciare alle proprie idee e alla propria libertà. Viveva male una cosa, il giudizio che circolava nel mio partito, che si pensasse a lui come la persona adatta a fare le tombole, ad essere popolare ma la politica vera si faceva da un'altra parte. Io non credo di smentire quello che avete appena sentito da Bersani, credo però di aggiungere qualche elemento in più. Nella storia della mia cultura politica, attorno all'idea del collettivo, può anche succedere che ci accorgiamo, che io mi accorga, che dopo 20 anni che frequentiamo una persona non mi ci siamo accorti di un fatto fondamentale: non era felice di quella politica, Cevenini ci dice liberatevi perché si potrà ripresentare in forme modernissime ma non sarà la politica civica, la buona politica. Ma sarà la guerra che è la continuazione della politica con altri mezzi.

Assumiamo un impegno: lasciamolo in pace, vediamo di costruire un clima non di guerra fra di noi e vediamo di comprendere che la politica è una delle attività della vita e non è giusto rifugiarsi nella politica come non è giusto farne l'attività totalizzante della propria vita. Maurizio voleva questo e il suo disagio è nato molto da questa contraddizione secondo me che non ho la verità in tasca, ma questo porto nel cuore come lui portava nel cuore Bologna".
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