Bologna, 26/01/2015
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"Signora presidente, autorità civili e militari, signor presidente della comunità Ebraica, signor Rabbino, cari ex deportati, cari ragazzi e ragazze, professor Canevaro, vi ringrazio davvero tutti per la vostra presenza qui stamattina e per il modo in cui avete partecipato finora. Anch'io voglio cominciare dai numeri, perché settanta anni fa, con la Liberazione del campo di concentramento di Auschtwiz, siamo venuti a sapere che nei campi hanno trovato la morte 6 milioni di ebrei, 3 milioni e trecentomila prigionieri di guerra sovietici, 1 milione di oppositori politici, 500 mila zingari Rom, circa 9 mila omosessuali, 2.250 testimoni di Geova, 270 mila tra disabili e malati di mente. Partiamo dai numeri, dall'incommensurabilità di questi numeri, per fare quello che oggi stiamo facendo insieme, dare un nome a queste persone. Perché forse, nel momento storico in cui viviamo, e forse in generale, più che la domanda metafisica e trascendentale, che ci condanna spesso a un senso di impotenza, del perché è potuto succedere, noi dovremmo concentrare la nostra attenzione e il nostro impegno sul come fare perché non si ripeta più. L'iniziativa di oggi è davvero, da questo punto di vista, esemplare, e io esprimo di nuovo la mia riconoscenza ai ragazzi e ragazze presenti: dare un nome alle persone vittime innocenti, significa innanzitutto comprendere insieme, alla luce di quanto sta avvenendo nel mondo, al ritorno di antisemitismo, ai fatti di Parigi, che la memoria innanzitutto è sicuramente tenere nel cuore, e ritrovare, le emozioni e recuperare l'umanità nel ricordo delle tante vittime innocenti, ma è anche assumere un impegno personale nel presente. La memoria di cui abbiamo bisogno, l'essenzialità del ricordo, significa comprendere tutti insieme che la memoria richiede un impegno personale nel presente. Perché ogni cosa può essere illuminata dal passato, ma questo passato va fatto rivivere nel presente con cognizione di causa, con conoscenza, con attenzione a quanto si può seminare nella nostra società che prefiguri in altro modo quanto è avvenuto settanta anni fa, che ci può esporre a quel rischio. E significa non sottovalutarlo. Quindi un impegno personale nel presente, che significa prendere parte, prendere posizione, combattere la grande zona grigia dell'indifferenza che rischia sempre di riproporsi, con argomentazioni per cui 'se non lo faccio io lo farà qualcun'altro', 'non è importante contrappormi in questo momento', 'è un episodio che sicuramente non si ripeterà'. La democrazia significa correre il rischio e avere il coraggio della libertà; non c'è niente di scontato nella democrazia, se non il fatto di tenere saldi i valori che ci sono stati trasmessi e le istituzioni democratiche che grazie al sacrificio di tante persone oggi sono a nostra disposizione. La ricerca, l'approfondimento dei problemi del presente illuminati dalla conoscenza del passato e soprattutto il dare un nome a questi milioni di persone nelle proprie comunità locali. Concentrarsi affinché non si ripeta mai più significa dirsi con franchezza che ci sono ancora tanti aspetti da evidenziare, come il dare un volto a queste persone, ad esempio ai quaranta ragazzi che sono stati oggi evocati con un nome, ma significa non crogiolarsi troppo su quanto in questi anni abbiamo detto, perché andava detto, che ci sono state minoranze che hanno combattuto il nazismo e il fascismo, ci sono stati dei Giusti, ma forse ci siamo dimenticati del fatto che questi Giusti sono stati esigue minoranze. Certo, hanno contribuito a salvare persone in diversi modi, ma forse è arrivato il momento, ce lo testimonia quanto è successo a Parigi e quanto stiamo facendo qui con i nostri studenti, di approfondire le ricerche a livello locale. Anche per ricordarci che non è vero che il fascismo è stata una dittatura diversa dal nazismo, per ricordarci che qui nel 1938 sono state approvate le leggi razziali, per ricordarci che pochissimi professori in Italia si sono dissociati dal giuramento al fascismo, per ricordarci che improvvisamente qui a Bologna nelle nostre aule universitarie e nelle nostre classi elementari queste persone hanno potuto essere allontanate nell'indifferenza della maggioranza della nostra popolazione. Che, certo, ha saputo riscattare tutto questo con infiniti lutti, con la guerra di Liberazione, con la Costituzione della nostra Repubblica, ma il fatto che maggioranze abbiano potuto permettere tutto questo, anche semplicemente con la loro passività, è un tema sul quale io penso sia importante cominciare ad avere il coraggio della verità. Non tanto per dirci che i nostri antenati non sono stati all'altezza, sicuramente non lo sono stati, ma per comprendere come è potuto accadere, e come fare nel caso ci siano segnali che si ricomincia di nuovo a indicare qualcuno come il Diverso, come il male assoluto. Ci sono state le leggi razziali, abbiamo avuto un grande allenatore del Bologna, quello che ha portato più scudetti al Bologna, Arpad Weisz, che è finito con la sua famiglia nei campi di concentramento. Abbiamo avuto delazioni nella nostra popolazione, abbiamo avuto uno sconcerto anche della comunità Ebraica, è vero che molti ebrei erano sostenitori in prima fila del fascismo, quindi non ci si voleva credere, si è sperato fino all'ultimo in un atteggiamento diverso del fascismo. Forse, tutti questi temi insieme ci hanno fatto sottovalutare quello che oggi, a Settanta anni di distanza, anche con un'attenzione forte all'attualità, è bene che si faccia: ridare volti a tutte queste persone, ricostruirne la storia e spiegarci quali relazioni avevano in quel periodo e come reagirono le diverse piccole comunità al loro allontanamento, in modo da avere da questo punto di vista maggiori strumenti per non sottovalutare quanto si può ripetere nel nostro presente, perché c'è stata una collaborazione attiva allo sterminio, Fossoli, non è stato solo un campo di transito, Fossoli è stato gestito interamente da popolazione italiana e, degli ottomila e passa deportati italiani ebrei nei campi di concentramento, più di 4 mila sono stati direttamente consegnati dalle milizie fasciste con la collaborazione attiva delle nostre forze di Polizia e dei nostri Carabinieri. Certo, c'è stata una diversità, certo, si son prese posizioni, ma in quel momento ha funzionato così e quindi noi abbiamo il compito di indagare e di approfondire per fare quello che abbiamo detto, per evitare che le maggioranze non si pronuncino sui diritti delle minoranza, nel senso di imporre che delle minoranza non ci si occupi, e quindi di interrogarci come è possibile, nel nostro presente, rispondere all'attacco che c'è alla nostra democrazia a livello europeo da parte del terrorismo e del fondamentalismo religioso, come possiamo rispondere allargando la nostra democrazia e rafforzandola invece che cominciare a pensare a come escluderla, a come dare restrizioni alla nostra democrazia per difenderci e tenere una posizione di difesa. La migliore difesa è mantenere forti i valori della nostra Unione europea, mantenere il pluralismo della nostra Unione europea, comprendere che l'Europa è forte e potrà essere ancora più forte se mantiene l'obiettivo dell' “unità nella diversità” che l'ha costituita, quindi lavorare per conoscere l'altro, per dialogare all'interno delle nostre comunità. Dialogare significa appunto farci attraversare dalla capacità di ascoltarsi, significa conoscere l'altro, significa apprezzarne i limiti, i difetti, ma significa soprattutto cercare di condividere un'identità comune per il futuro, significa integrazione, significa scegliere di stare insieme. Scegliere di stare insieme è la modalità dell'Europa, è la modalità del futuro, è la modalità che mi porta a dire che la prima cosa che farei oggi se fossi al Governo, ma mi pare che al Governo, così come nelle forze di opposizione questa consapevolezza ci sia, è poter dire a voi ragazze e ragazzi, è che a un certo punto, al più breve fra qualche mese, ci sarà il diritto di voto per quelli che sono nati qui, o che sono venuti a studiare qui e che insieme a voi, nei banchi di scuola oggi hanno a cuore il nostro Paese, ma saperlo dire, sapendo appunto di rifiutare tutte le categorie, come ci ricordava il nostro professor Canevaro. Rifiutare le categorie significa avere l'orgoglio di definirsi bolognesi, italiani, europei, senza farsi ridurre a una sola di queste categorie. Significa accettare la pluralità come ricchezza e futuro sicuro della nostra comunità. Se c'è una cosa che ci insegna il popolo ebraico, che costituisce secondo me il suo progetto di vita, è secondo me l'esercizio della Memoria, fare vivere la Memoria nel presente. Insegnamento prezioso, noi europei ce l'abbiamo a fasi. Quando la situazione precipita ci ricordiamo dei nostri valori e della nostra Memoria. Abbiamo un popolo nel mondo che ha dovuto fare vivere la Memoria ogni giorno nel presente per assicurarsi un futuro e su questo ha fatto la sua scelta di vita, è costitutivo della sua scelta di vita. Forse noi troppo spesso sottovalutiamo tutto questo e, rispetto a una questione come quella mediorientale e a tutto quello che sta succedendo, siamo quasi rincuorati del fatto che quattro anni dopo sia tornata una dittatura in Egitto, se paragonato a quello che poteva succedere. Continuiamo a non interrogarci su come dare valore al fatto che Israele è purtroppo l'unica democrazia ancora in quella parte del Mondo, ma non per separare o escludere, ma su come fare nascere dal basso quella democrazia di cui quella parte del mondo ha un estremo bisogno perché come abbiamo visto, dall'alto non si fa nulla. Semplicemente ricorrendo alle elezioni quando non c'è un tessuto democratico si corrono dei rischi, rischi che noi conosciamo come ci insegna la nostra storia perché Hitler e Mussolini sono stati eletti da qualcuno e oggi nei parlamenti europei vediamo situazioni analoghe, ultima la Grecia ieri, con il terzo posto un partito nazi-fascista come Alba. Per questo io credo che se noi vogliamo lavorare per celebrare in modo non retorico, come sempre abbiamo fatto in realtà in questo Consiglio comunale, oggi lo abbiamo fatto cercando di parlare dal punto di vista dei bambini in una tragedia di questo tipo, noi davvero dobbiamo convincerci dell'attualità di questo tema e del fatto di farlo vivere nella nostra quotidianità facendo scelte concrete ogni giorno insieme alle nostre istituzioni democratiche che vadano nel senso di valorizzare la diversità e la convivenza. Care ragazze e cari ragazzi, le città che ce la fanno nel mondo e gli Stati che ce la fanno nel mondo, ce lo insegna anche questa lunga crisi, sono quelle capaci di far vivere la diversità. Sono attrattive perché sono frequentate da tante persone con origini diverse e tutte queste origini diverse ne fanno la loro forza culturale e la loro forza economica, proprio oggi qui, nel mondo. Le città che si chiudono sono città che assecondano il loro declino e non hanno futuro. E quindi direi che dobbiamo infine riflettere su cosa fare del nostro futuro a partire dal tema della cittadinanza e del confronto con gli altri. La storia europea ci ha consegnato un diritto di nascita, di sangue, ci ha consegnato un diritto di suolo che è stato interpretato molto spesso anche come colonialismo e imperialismo, però ci consegna ogni giorno quello che voi vivete frequentando ogni giorno i banchi di scuola: che si può scegliere una cittadinanza per scelta, si può scegliere di essere cittadini, e se si può scegliere di essere cittadini questo significa avere la forza nel presente di tenere alla larga l'odio, di tenere alla larga le strumentalizzazioni, di conoscervi tra di voi ragazzi e di scegliere insieme di diventare cittadini della nostra città.
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